SCIENZA

del prof. Maurizio de Martino, direttore del dipartimento di Pediatria internistica AOU Meyer

Se la premessa è che il 10% delle conoscenze mediche muta ogni anno, è del tutto auspicabile che medici e pediatri di base, oltre che specialisti, si tengano aggiornati; il discorso vale anche per un sintomo con cui dobbiamo fare spesso i conti: la febbre.
Numerosi sono infatti i luoghi comuni da sfatare su questo argomento che imperversano tra genitori e, ahimè, anche fra medici, come emerso durante il recente forum Paidoss 2015 che si è svolto a Lecce.
Tutta colpa della fever phobia, ossia del panico che si scatena, spesso, in casa quando un bambino ha la febbre alta. In realtà la febbre, (innalzamento della temperatura sopra i 37,5°C secondo l’OMS), esiste negli animali da 40 milioni di anni ed è presente in tutte le specie: quando un fenomeno biologico viene mantenuto così a lungo e lo hanno tutte le specie animali, significa che è indispensabile per la sopravvivenza. E la febbre lo è, perché, grazie all’innalzamento della temperatura, funzionano meglio i meccanismi immunologici in grado di contrastare virus e batteri. E con la febbre funzionano meno virus e batteri. I medici, per esempio, sanno che la mancanza di febbre quando ci sono gravi infezioni non è affatto un buon segnale, anzi! E sanno, anche, che abbassare la febbre comporta regolarmente un allungamento e un peggioramento delle condizioni infettive. Dunque non è affatto il caso di allarmarsi in presenza di febbre, anche se alta.
L’unica situazione che deve mettere in guardia i genitori è la febbre del lattante, perché in questo caso è frequente la possibilità di un’infezione batterica che potrebbe anche essere grave e deve essere tempestivamente diagnosticata. La regola, quindi, è quella di non agitarsi inutilmente, ma di far visitare in giornata il proprio piccolo.

Quando, invece, il bambino è più grande e il discorso vale anche per adulti e anziani, la febbre, nella maggior parte dei casi, è un sintomo che non deve destare preoccupazione e, soprattutto, non va neppure contrastata.
Tradotto: non è affatto vero, credenza per altro molto diffusa anche tra gli addetti ai lavori, che sopra una determinata soglia (38/38,5 °C) si debba assumere l’antipiretico, ossia il paracetamolo. La febbre, infatti, non va combattuta in quanto tale ma l’antipiretico deve essere impiegato soltanto quando la febbre si associa a condizioni di malessere e dolore (mal di testa, dolori muscolari, dolori articolari). Il paracetamolo, l’antipiretico di prima scelta, deve essere somministrato (con dosaggio di 60 mg/kg/giorno, suddiviso in 4 dosi – da somministrare ogni 6 ore) con lo scopo preciso di alleviare i sintomi. Se il bambino è febbrile, ma sta bene, non è affatto il caso di ricorrere ai farmaci, anzi è un errore molto grave. E il discorso vale anche quando la febbre è molto alta.
Ovviamente poi se il bambino ha febbre, manifesta uno stato generale confuso, mal di testa, rigidità alla nuca, vomito... insomma se le condizioni generali non sono buone, il consiglio è ovvio, bisogna rivolgersi al pronto soccorso. Il discorso vale anche per le convulsioni in corso di febbre, benigne (ma è sempre meglio che sia un medico a stabilirlo), associate ma non causate dalla febbre e che non si prevengono con l’antipiretico.

Ma questo non è certo l’unico luogo comune da sfatare. Uno molto diffuso tra le mamme è il rapporto causa effetto dentizione-febbre. In realtà, non esiste la febbre da eruzione dentaria, così come è meglio evitare di ricorrere ai “rimedi della nonna”. Spugnature, ghiaccio o pezzette non solo sono inutili (la febbre è un innalzamento centrale e non periferico della temperatura corporea), ma anche controproducenti perché causano brividi e, quindi, un innalzamento ulteriore della temperatura, oltre che malessere nel bambino. Bisogna poi tenere presente che se la febbre non si abbassa non bisogna per forza ricorrere all’antibiotico che deve essere prescritto solo quando davvero necessario dal medico. Per la misurazione della febbre è invece utile impiegare solo il termometro elettronico digitale e solo sotto l’ascella. La via rettale causa sconforto e può provocare anche spiacevoli incidenti. È bene, infine, tenere presente che 90 minuti è il tempo massimo entro il quale deve essere atteso l’effetto dell’antipiretico e la via di somministrazione è sempre quella orale, salvo casi rari.
E smettiamola con le supposte!