IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica ludo-biblio AOU Meyer

Sempre che non siano “false notizie”, si dà per certo che alla base della passione per i “calcoli” di Mino Zucchetti, lo Steve Jobs italiano, ci sia stato un incantamento infantile per gli aerei in volo e la conseguente meticolosa, matematica, costruzione di macchinine volanti; non di meno il giovane sognatore, barone Wernher von Braun, rimase così folgorato da un libriccino intitolato Il razzo nello spazio interplanetario, da cimentarsi – già dodicenne – in esperimenti sulla propulsione, per arrivare poi, nel 1969, a realizzare quel superpropulsore Saturno V che mandò la missione Apollo sulla luna!

Diciamo pure che molto spesso tanta scienza nasce proprio da bambini, dalla passione per le storie e da una curiosità e da una illimitata voglia di sperimentare, che non sempre la scuola e soprattutto gli adulti sostengono.

Perché il primo, vero, grande scoglio da superare è proprio la radicata convinzione che la scienza sia difficile, arida e noiosa. E non a torto! Se si pensa, ad esempio, che sino alla pubblicazione delle opere di Jule Verne tutta la produzione anche letteraria si era fondata su una dicotomia costante fra scienza e fantasia. Prova ne siano gli altisonanti titoli rivolti sino dalla metà dell’Ottocento ai piccoli borghesi da istruire. Dalla Storia di un boccone di pane a L’aritmetica del nonno sino ai 500 giochi semplici dilettevoli di fisica, chimica, pazienza e abilità eseguibili in famiglia o al divertentissimo, desueto, I servitori dello stomaco.

Sono occorsi molti anni perché dagli USA arrivassero e si radicassero nel mercato i primi kit per piccoli, spericolati, scienziati, superando in Italia solo alla metà degli anni ’60 le distinzioni di genere così che anche le bambine potessero cimentarsi nelle sperimentazioni del Piccolo chimico. È memoria collettiva quel ragazzino sorridente – Sapientino - che con il suo cappellino rosso, invitava a imparare cose nuove in modo del tutto insolito, cioè giocando.

Superate barriere e pregiudizi si è allora consolidata la convinzione che la scienza possa diventare un gioco affascinante e sorprendente, un gioco che sa parlare di scoperte e invenzioni, di numeri, fisica e matematica, di astronomia nonché di botanica, chimica e biologia, di fenomeni naturali come terremoti e arcobaleni.

Dalle grandi domande sull’universo agli esperimenti che invitano a mettere i più grandicelli alla prova per costruire una lampadina o un sismografo, libri e kit costituiscono percorsi di osservazione e di verifica diretta. Ma non solo, aiutano il bambino a osservare, classificare, capire il rapporto causa-effetto, sviluppare la memoria, avvicinarsi con rispetto alla natura, insegnando che alla base di ogni successo ci sono errori, sconfitte e fallimenti e che una buona dose di testardaggine aiuta a non scoraggiarsi e a raggiungere traguardi lontani.

Con razzi ecologici, frizzanti bombe da bagno, riciclaggi e bolle di sapone si scopre la chimica e ci si addentra fra segreti della natura. E anche per gli under sei, basta poco. La prima lente di ingrandimento li aiuterà a guardare il mondo in miniatura scoprendo l’infinitamente piccolo. E in cucina? Saranno sufficienti bicarbonato e aceto per far eruttare un vulcano di plastica… cubetti di ghiaccio e un pentolino per osservare i passaggi di stato della materia, senza dimenticare elastici e fogli di carta per produrre propulsori per automobiline.

Infine per grandi e piccini conviene volgere gli occhi ai cieli estivi, stellati, luminosi e provare insieme l’emozione di condividere con Margherita Hack la grande domanda del perché le stelle non ci cascano in testa.