IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica ludo-biblio AOU Meyer

In una moltitudine di peluche loro, gli orsacchiotti di pezza, di pelo o di maglia, spiccano nei migliori negozi di giocattoli e troneggiano sulle bancarelle. Much Loved sfilano spesso, seppure mutilati o rattoppati, nelle gallerie fotografiche delle maggiori celebrities della fotografia; a loro sono dedicate intere sezioni di un qualsiasi rispettabile Museo del Giocattolo e ancora a loro sono ispirati alcuni dei migliori capitoli della letteratura per l’infanzia. Ogni bambino sa poi benissimo che non c’è letto senza orsetto, e ogni genitore, di conseguenza, è pronto a scapicollarsi a destra e a manca nel malaugurato caso di smarrimento!

Ma perché piace tanto? Insomma, oggetto cult di ogni infanzia, Teddy Bear è riuscito persino a salire a bordo dell’Apollo 11 che, nel 1969, aveva condotto gli astronauti Aldrin, Armstrong e Collins, a passeggiare sulla luna. Il motivo per il quale fra i tanti trichechi, polpi viola, millepiedi di pezza e deliziosi coniglietti color pastello, l’orsacchiotto si sia così tenacemente radicato nell’immaginario collettivo, tanto da far pensare che sia sempre esistito, rimane un po’ un mistero. Qualcuno sostiene che sia grazie alla perfetta elementarietà della sua forma rotonda, alle sue zampe carezzevoli senza unghioni e sempre aperte: pronte all’abbraccio, certo, eppure zampotte che non trattengono, non imprigionano e, quindi, non soffocano di coccole…
Qualcun altro sostiene piuttosto che siano gli occhi rotondi e un po’ malinconici, nascosti nel pelo, a suggerire sentimenti di fedeltà e di arrendevolezza, facendo dell’orsacchiotto un primo vero amico. Un amico che fa compagnia sotto le coperte, riscalda e protegge e contemporaneamente chiede calore e protezione, parlando ai bambini di ieri come a quelli di oggi con il linguaggio più consono all’infanzia: quello della tenerezza.

Un oggetto di transito. Ma il viaggio che ogni bambino compie verso il suo personalissimo pupazzo inizia da lontano, nel momento in cui l’illusione d’essere tutt’uno con la mamma cede il passo alla consapevolezza di avere una propria pelle. E per sopportare questo nuovo stato di “separato”, il piccino ha bisogno di oggetti, magari proprio dei nonnulla – fazzoletti, copertine, peluche come pure un angolo di tessuto, un nastro o un filo di lana – che siano morbidi e soffici, che siano stati sfiorati, stretti, succhiati e quindi impregnati d’odori inconfondibili che appartengono tanto a lui quanto alla mamma. Oggetti così detti di transito; un ponte, una sorta di souvenir di un itinerario che, iniziato con le prime sensazioni tattili del bebè e con il puro piacere di succhiare, conduce, come conclusione, all’adozione di un peluche o di una copertina; a una prima manifestazione, vale a dire, di un comportamento d’amore.

Guai a lavarlo! Trattati con affetto e gran considerazione, Orsacchiotti&C. subiscono pure la furia di ogni passione amorosa con tutta la rabbia e l’aggressività che ne conseguono. A loro, ovviamente, è riservato un posto d’onore nella valigia delle vacanze e ogni genitore ormai ben sa come, per quanto sporchi, logori e informi, questi passaporti dalla solitudine neppure dovrebbero essere lavati e meno che mai gettati o sostituiti con qualcosa di più attuale. Per ogni bambino, essi rappresentano, infatti, la garanzia della continuità nonché della robustezza degli affetti. Perché, come ha spiegato Linus Van Pelt – munito di dito in bocca e copertina in mano – non si può certo “affrontare la vita disarmati”!