PER I NOSTRI FIGLI

di Angela Pittari, pediatra di famiglia
Bambino che rifiuta il cibo mentrre la madre lo imbocca

I bambini italiani sono mediamente ben nutriti e dovunque si legge spesso delle strategie adottate per prevenire il rischio di sovrappeso e/o obesità. Malgrado il cibo non manchi ai nostri bimbi, molti sono i genitori che mi consultano perché afflitti dal problema contrario: “Il mio bambino non mangia nulla!”.
La prima cosa che mi preme sapere è se quel bambino ha sempre mangiato poco o ha ridotto sensibilmente e per un periodo abbastanza lungo (due settimane) l’abituale quantità di cibo. Una visita accurata con la rilevazione dei dati auxologici (peso, altezza, BMI, stato di nutrizione) e di eventuali segni clinici di patologie associate, mi aiuta a distinguere le forme francamente patologiche dalle difficoltà alimentari transitorie. Queste ultime, per altro, abbastanza comuni in periodi critici come la preadolescenza e l’adolescenza, lo sono anche nella vita di un bambino piccolo come durante lo svezzamento (integrazione del latte con alimenti diversi), verso i 10/12 mesi (quando si passa a un’alimentazione per così dire più adulta) o intorno ai 2/3 anni (quando il bambino acquista maggiore autonomia).

Inappetenza si può osservare anche dopo una vaccinazione o durante l’eruzione dei primi dentini e anche in concomitanza di malattie intercorrenti come infezioni respiratorie, intestinali e urinarie; in questi casi, trattandosi di eventi per così dire fisiologici, meglio non forzarlo a mangiare (per “mettergli qualcosina nello stomaco”) ma offrirgli dei cibi leggeri e digeribili (non necessariamente dieta in bianco) fino al superamento del problema.
Ci sono poi alcune situazioni psicologiche collocabili nell’ambito della storia relazionale del bambino con i propri genitori, dell’ambiente domestico in cui il pasto viene consumato, nonché del carattere e dello sviluppo psicomotorio personale del piccolo, che si accompagnano o si manifestano con inappetenza per lo più transitoria:

  • bisogno di affermazione: il bambino (specie quello più piccolo) è solito manifestare stati d’animo stressanti attraverso il cibo che viene caparbiamente rifiutato (neofobia) come segnale di affermazione di sé, della propria volontà. I suoi no ostinati e l’atteggiamento di sfida ne sono il segno più evidente. Suggerisco in questi casi di provare ad accettare la sua richiesta di autonomia, concedendone quanta più è possibile anche a tavola, stimolandolo a mangiare da solo e lasciandolo decidere da solo sulla quantità che soddisfa il suo senso di fame;
  • bisogno di attenzione: il non mangiare attira inevitabilmente l’attenzione dei genitori, magari distratti da altri eventi come la nascita di un fratellino, il ritorno al lavoro della mamma, un lutto familiare o un doloroso processo di separazione coniugale. Proviamo ad accogliere il suo disagio, le sue insicurezze e le sue paure: a volte può bastare semplicemente questo a far sì che faccia pace con il mondo e anche con il cibo.

In questi tempi moderni si va perdendo l’importanza del momento del pasto rispetto ad altre attività della vita frenetica quotidiana e sempre più spesso si assiste a pasti consumati frettolosamente e in modo scomposto sul divano davanti alla TV, senza assaporare il piacere della convivialità. Capita frequentemente di vedere bambini che mangiano a tradimento, imboccati dai genitori e distratti da cartoni animati, TV, tablet e smartphone, e bambini per i quali mangiare è un atto collaterale e secondario al gioco e per questo inseguiti per tutta la casa da bocconcini fugaci e privi di sapore.
L’ambiente in cui il bambino cresce svolge un ruolo fondamentale sullo sviluppo del comportamento alimentare. L’intake calorico, per esempio, o l’attività fisica dei genitori, l’abitudine a consumare i pasti fuori casa, la confusione, la tranquillità, la regolarità e il rispetto degli orari, nonché la presentazione, la temperatura e l’aspetto del piatto sono fattori che variamente e in misura diversa influenzano l’assunzione qualitativa e quantitativa del cibo.

Ritengo che sia importante sostenere i genitori affinché non si scoraggino di fronte al loro piccolo disappetente: l’educazione all’alimentazione richiede tenacia e pazienza, cercando di evitare comportamenti rischiosi quali l’utilizzo del cibo come immediata risposta a qualsiasi richiesta del bimbo oppure come l’offerta di cibi graditi e golosi anche fuori orario e senza una regola pur di farlo mangiare (mi capita spesso di analizzare il diario alimentare di questi bambini disappetenti e scoprire che la loro giornata è costellata da offerta di cibi ad alto contenuto calorico ma di scarso valore nutrizionale che portano inevitabilmente al rifiuto del pasto proposto a tavola).
Diciamo subito che non esistono rimedi miracolosi e che quindi “sciroppini” e multivitaminici, comunemente richiesti come panacea di tutti i mali, non possono sostituire il ruolo svolto dai genitori nell’educazione dei figli anche per quel che riguarda l’alimentazione.
Ma vediamo insieme quali potrebbero essere le abitudini più corrette:

  • durante la giornata, condividere almeno un pasto con tutta la famiglia, seduti a tavola, consumando possibilmente le stesse pietanze (senza inutili e controproducenti preferenze per qualcuno), con la TV e i cellulari rigorosamente spenti, in un’atmosfera cordiale e serena;
  • i pasti dovrebbero essere consumati più o meno allo stesso orario (compatibilmente con le esigenze della famiglia) evitando stuzzichini e spuntini in qualsiasi momento della giornata che finiscono per rovinare il sano senso di fame all’approssimarsi del pasto;
  • ricordiamoci sempre che i bambini ci guardano e apprendono replicando le abitudini: un genitore che non è solito mangiare la frutta o la verdura o fa apprezzamenti negativi al solo vederla, non potrà essere di esempio per il suo bambino che finirà per non assaggiarle mai;
  • il cibo non è solo gusto ma anche esperienza sensoriale olfattiva, tattile e visiva; quindi preparare piatti che siano anche gradevoli alla vista, curati, colorati e magari anche simpatici, dal profumo gradevole può costituire un modo semplice ma efficace per superare la disappetenza del bimbo;
  • gratificare il bambino (non con regali!) in ogni occasione per ciò che mangia o se è stato bravo durante il pasto significa prestargli attenzione e questo lo rende più positivo verso il mangiare in generale;
  • portarlo a fare la spesa spiegandogli da dove viene il cibo e come viene cucinato può essere utile: i bambini, di solito traggono benefici dall’essere coinvolti nella scelta e nella preparazione dei pasti anche in età molto precoce.

La cosa più importante, comunque, è non mollare! Potrebbero volerci settimane o mesi prima di vedere un cambiamento, ma ne sarà valsa la pena. Imparare a mangiare è un processo di apprendimento e quindi ci vuole tempo, non sempre uguale per tutti i bambini.
Infine ricordo alle mamme e ai babbi che anche in questo percorso, a volte non semplice, non sono soli ma possono contare sul sostegno costante del proprio pediatra e sui suoi consigli autorevoli.