IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica ludo-biblio AOU Meyer

Ed è subito polemica… se l’argomento da trattare riguarda l’annosa questione della proposta differenziata fra giochi “da maschi” e giochi “da femmine”. In filigrana rimane il dibattito su quanto siano i fattori sociali a influenzare il comportamento, l’orientamento e le scelte dei bambini nel loro giocare e quanto, invece, tutto sia già scritto nel proprio DNA. Alias, cultori di Barbie o di Spiderman si nasce o si diventa?

Oggigiorno la bilancia delle teorie più significative sembra propendere dalla parte dei fattori culturali e, non di meno, da quelli del marketing. Tanto che la neuroscienziata Lise Eliot, autrice del saggio Pink brain Blu brain, non ha esitato ad affermare che “le differenze biologiche esistono, ma più di tutto contano educazione e aspettative” perché è dimostrato quanto, nell’infanzia, il cervello sia malleabile. E senza dubbio lasciare i piccoli liberi di giocare come vogliono, senza distinzioni per genere, stimola la loro creatività e li apre a immaginari variegati e molteplici.

Ostacoli e pregiudizi però non mancano. Basti pensare che l’ultima campagna social, Toys and Diversity, di COFACE (il network di associazioni europee che rappresenta gli interessi di tutte le famiglie nella UE), raccogliendo per un anno cataloghi di giocattoli di nove Paesi (Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Gran Bretagna), ha rilevato come più di un terzo dei cataloghi (il 37.5%) fosse diviso in sezioni “per maschi” e “per femmine” , mentre i cataloghi che non avevano tale divisione rappresentavano le sezioni e i giocattoli maschio/femmina con il colore delle pagine: rosa e colori pastello per le bambine, colori più scuri e marcati per i bambini.

“Stabilire con quali giocattoli i bambini devono divertirsi da piccoli definisce i sogni che coltiveranno e il ruolo che giocheranno nella società”, ha tuonato la britannica Jenny Willott, strenua difensora dei diritti dei bambini.

Al via, inevitabilmente, un pullulare di insurrezioni e proteste: blog, siti dedicati nonché campagne di informazione e di sensibilizzazione a favore della “gender neutrality” dei giocattoli. Da “La discriminazione non è un gioco” alla “Pink stinks”, il rosa puzza: basta con le bambole da accudire, sino ad azioni militanti di ragazzine che attaccano adesivi sulle confezioni dei giocattoli sessisti. I giocattolai più all’avanguardia hanno reagito eliminando, nei loro negozi, i reparti for boys e for girls, mentre i magnati dell’industria del giocattolo si stanno attrezzando e mettono in campo persino prestigiosi professori, dalla Università di Cambridge alla Stanford University, nella convinzione che la biologia non sia il destino!

“E non sembrino polemiche eccessive, ridicole”, ha affermato Barbara Mapelli pedagogista ed esperta di “genere” dell’Università di Milano Bicocca. “Le forzature tra giochi da maschi e da femmine creano gabbie, in tenerissima età, che si incardinano nella soggettività e diventano difficilissime da combattere. In più sono stereotipi falsati. Le identità, oggi, vivono profondi cambiamenti e proporre alle bambine ruoli domestici e accudenti, e fare dei maschi gli unici destinatari di prodotti avventurosi e creativi è un clamoroso falso storico”. Si va dunque verso una “educazione colorata”, arcobaleno, che nella terra dei “bambini felici” e di Pippi Calzelunghe, privilegia, per eliminare le differenze dei giochi sessisti, quelli all’aperto. In fondo, bambini e bambine, raccolgono sassi e bastoncini nella stessa maniera!
E poi non dimentichiamo che persino il piccolo Goethe, nel Settecento, giocava con le sue pentoline...