IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica ludo-biblio AOU Meyer

Indomito, con il suo record di oltre 200 milioni di scatole vendute nel mondo, il gioco da tavolo Monopoly resiste e contrasta vigorosamente videogame e internet, vuoi che si presenti nella sua versione basic vuoi che si presenti nelle tante curiose varianti che lo vivacizzano e modernizzano: da quella dedicata alla Ferrari a quella dedicata al 150esimo anniversario dell’Unità d'Italia, dalla versione Junior della Disney al Monopoly Jurassic World sino alla versione vietata ai minori di 18 anni e consacrata alla serie Il trono di spade. Inoltre, a sancirne il successo planetario, a San Jose, nel bel mezzo di un parco della capitale della Silicon Valley, un'associazione no-profit “Beautiful Friends of San Jose”, ha realizzato il più grande Monopoli vivente al mondo, Monopoly in the Park: stesse regole per le pedine viventi e cento metri quadri di percorso a spirale fedele alla tavola del gioco stesso.

Peraltro, nel passaggio dall’età dell’oro all’età della ragione, molti sono i giochi da tavola che cullano i genitori nell’idea che giocando si impari: si imparano le parole, si imparano i numeri, le regole e perché no: l’economia. Così fra i tanti libri e librini che nascono con l’intento di educare i bambini al risparmio nonché all’uso responsabile, come pure altruistico, del denaro, Monopoly si è adeguato, sfoderando persino versioni che utilizzano carte di credito, euro pluri-taglia e l’home banking tanto per allenare i ragazzini - nell’illusione ludica ricchi come nababbi - al piacere di maneggiare denaro, al gusto di investire in immobili ecc… Alle fondamenta del gioco appare evidente come ci sia il concetto del monopolio, tanto che non pochi pedagogisti e studiosi del puer ludens hanno puntato l’indice verso Monopoly ritenendo discutibile far leva sulla naturale inclinazione a competere dei bambini per forgiare una mentalità che, nell'abbaglio di una vittoria individuale, è disposta a tutto pur di mandare in bancarotta l’avversario, al motto di “gli affari sono affari”. Eppure, non è sempre stato così! Anzi. Nato con le migliori intenzioni nel 1904 con il nome Landlord’s Game grazie all’ingegno di Elizabeth Magie Phillips, stenografa di Canton, nell’Illinois, il gioco aveva nelle sue intenzioni non solo lo scopo di divertire bensì quello di mostrare come, con le leggi allora vigenti, i proprietari terrieri fossero privilegiati rispetto agli altri imprenditori, e come il sistema della tassa unica avrebbe scoraggiato gli speculatori. Tanto che, nel vendere il brevetto al colosso Parker, Lizzie spiegò ai giornali come avesse raccomandato al suo gioco “di non deviare dal tuo alto scopo, dalla tua vera missione!”

Diciamo pure che, da allora, a suon di colpi di scena, fra vicende da spy story, idee rubate, rivendicazioni di plagio, inventori dimenticati, il gioco nato dall’intento progressista, morale e pedagogico, di condannare gli effetti negativi dei monopoli e dei guadagni da sola rendita, sensibilizzando in merito i giocatori, si trasfigura nel simbolo del capitalismo americano e diventa con Charles Darrow, uomo dai pochi scrupoli che si accaparrò il gioco cambiandogli nome e intenti, un monopolio.

Al bando dunque, per bambini e ragazzini, Monopoly gioco di rito alle tavolate di parenti radunati per le feste comandate? Al bando Corso Magenta, le casette di legno rosse e blu, le entrate e le uscite di prigione, gli imprevisti e le probabilità? No, solo attenzione: forse piccoli capitalisti crescono ma, a oggi, Monopoly si presta ad essere la metafora di un gioco ben più grande, un gioco - ci ha suggerito il film Qualcuno volò sul nido del cuculo: "(… Monopoli è un gioco) … in cui tutto si compra, si vince e tutto si rischia di perdere, come nella vita".