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PSICOLOGIA

di Francesca Maffei, responsabile Psicologia ospedaliera AOU Meyer

L’interesse per le parolacce si manifesta intorno ai 3 anni, quando il bambino, attraverso il meccanismo dell’imitazione, riporta in casa e ripropone tutto ciò che sente fuori, per constatare l’effetto che fa.

In questa fase evolutiva (dai 3/4 anni) si stabilizza il controllo degli sfinteri e il dire parolacce è un comportamento assimilabile a quello di divertirsi sporcandosi. I termini che hanno a che fare con argomenti tabù, come sesso ed escrementi, in un linguaggio molto diretto, immediato, “materiale”, sono adatti per esprimere le pulsioni infantili di questa fase evolutiva.

Inoltre le parolacce di solito hanno un effetto sconvolgente sugli adulti, che tendono a definirle come qualcosa di “brutto, sporco e che non si dice”, mentre per il bambino di questa età sono solo nuove acquisizioni di cui spesso ignora il significato.

Più si è rigidi, più la parola gli si fissa nella mente, e comincia a usarla in modo intenzionale, per fare un dispetto, per esprimere la sua opposizione o per far fare una brutta figura ai genitori. Di solito il bambino prova un grandissimo piacere nel dire le parolacce perché, anche se non ne conosce il significato, coglie al volo l’effetto dirompente e dissacratorio. È l’esperienza trasgressiva che attrae il bambino a dire le parolacce, e ne subisce tanto più il fascino quanto più forte è il divieto in famiglia perché ciò che lo attrae non è la parola in sé quanto la carica emotiva che sente quando gli altri, adulti e bambini, pronunciano parolacce e quando pronunciandole a sua volta suscita clamore, turbamento o divertimento. Generalmente l’interesse per le parolacce si esaurisce in tempi brevi, senza lasciare traccia, soprattutto se si riesce a non enfatizzare il fenomeno e a considerarlo per ciò che è, ovvero qualcosa di passeggero.

Questo non significa che sia opportuno restare indifferenti, far finta di non sentire può indurre il bambino a insistere per attirare l’attenzione. Il genitore potrebbe intervenire spiegando al bambino perché non vuole che lui le dica (possono ferire gli altri, è un comportamento che lo fa apparire non gentile, maleducato, al genitore non piace quando lui si comporta così, ecc.), è importante non esagerare con le prediche, soprattutto se il genitore stesso a volte pronuncia le parolacce, perché i bambini si disorientano di fronte all’incoerenza dei genitori e degli adulti.

Alcuni studi evidenziano che nelle famiglie in cui il linguaggio sconveniente è più tollerato il bambino non mostra particolare interesse per le parolacce, né tende a ripeterle, mentre quando i genitori ne fanno un dramma e una questione educativa fondamentale, il bambino non solo insiste in modo fastidioso, ma lo fa anche nei momenti meno opportuni. È opportuno evitare estenuanti interrogatori per sapere da chi è stata imparata la brutta parola: le parolacce girano, non appartengono a nessuno e non è utile sapere da chi l’ha sentita, l’importante è valutare l’uso che ne fa e, da parte degli adulti, reagire in modo adeguato per evitare di rinforzare il comportamento.