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Una bambina seduta sul vasino sorride a un bambino che la guarda sconsolato e che indossa un pannolino puzzolente e tiene in mano un orsacchiotto di pezza

BUONO A SAPERSI


Una tosse persistente, che lascia il bambino senza fiato. È la pertosse, una delle malattie infettive più diffuse ancora oggi. A farci conoscere questa patologia, trasmessa da un batterio che si chiama Bordetella pertussis, sono la professoressa Luisa Galli, direttore delle Malattie infettive del Meyer, e la professoressa Elena Chiappini, pediatra e infettivologa.

“Nella forma classica – spiega la professoressa Galli - è caratteristica la tosse spasmodica, con molti colpi ravvicinati al termine dei quali segue un classico rumore (detto urlo), che corrisponde al momento nel quale il bambino, per riprendere fiato, esegue una lunga e rumorosa inspirazione. Spesso alla fine il bambino emette un blocchetto denso di muco trasparente oppure ha un episodio di vomito. Sono frequenti, tuttavia, soprattutto nei soggetti più grandi e negli gli adulti, forme cliniche più lievi, caratterizzate solamente da tosse secca persistente, che possono sfuggire alla diagnosi, pur essendo forme contagiose. E sempre più frequentemente negli adulti e adolescenti sono segnalate forme completamente asintomatiche, ma contagiose, che a maggior ragione, possono contribuire alla diffusione dell'infezione fra neonati e lattanti”. I più piccoli sono i più a rischio, sia per l'immaturità del sistema immunitario che per le peculiarità anatomiche dell'apparato respiratorio in crescita. “La pertosse può essere molto grave – continua la professoressa - nei bambini sotto i 6 mesi di vita, particolarmente nei prematuri e in quelli non vaccinati. Nei lattanti la diagnosi è difficile perché il quadro clinico può essere atipico, senza gli accessi classici di tosse. Anzi la tosse spesso è rara o addirittura assente o sostituita da episodi di apnea fino a gravi crisi di carenza di ossigeno. In questi casi è necessario il ricovero in modo da fornire un tempestivo supporto respiratorio quado necessario. Nelle forme molto gravi la pertosse può infatti condurre il piccolo fino alla morte. Sono possibili anche danni neurologici, polmoniti, e fratture costali”. La malattia è particolarmente insidiosa perché non esiste un’immunizzazione definitiva. “Sia l'infezione naturale che il vaccino conferiscono una protezione solamente per 5-7 anni” precisa la professoressa Chiappini. Per fortuna, si può intervenire per ridurre i danni.

“La terapia antibiotica con macrolidi, soprattutto se iniziata nelle prime fasi di malattia – precisa la specialista - sembrerebbe ridurre la durata e la gravità della malattia, oltre che a ridurre il periodo di contagiosità”. Un’altra strategia che può rivelarsi molto efficace per proteggere i bambini piccoli è quella di vaccinare la madre durante la gravidanza. “Così – conclude Chiappini - gli anticorpi protettivi formati dalla mamma possano passare, attraverso la placenta, al bambino. In questo modo il bambino risulta protetto già fin dai primi giorni di vita, ancor prima di effettuare la vaccinazione esavalente e, soprattutto, proprio nel periodo di massima pericolosità della malattia. Purtroppo la vaccinazione in gravidanza è ancora poco diffusa in Italia, mentre lo è molto di più negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. In alternativa, sempre per proteggere il bambino nel primo anno di vita, dovrebbero essere vaccinate tutte le persone che accudiscono o hanno contatti con il bambino e che, se infetti, potrebbero contagiarlo: i genitori, i nonni, i fratelli, ma anche baby-sitter o insegnanti. È chiaro che questa strategia è meno efficace rispetto alla vaccinazione della madre in gravidanza perché è difficile riuscire a vaccinare proprio tutti i possibili contatti del bambino”.