IL GIOCO È UNA COSA SERIA
Facciamo il gioco del silenzio: l’indice si allunga verso l’alto e si avvicina alla bocca, perpendicolare alle labbra, assumendo quella che comunemente si chiama la “posizione della maestra”. Vince chi non parla, chi non produce il minimo rumore con il minimo movimento del corpo. Vince chi riesce a non ridere neppure di fronte alla provocazione di sberleffi, piroette con la lingua, contorcimenti acrobatici del volto.
Lo aveva scoperto, o meglio inventato - il gioco del silenzio - Maria Montessorri.
Un giorno, in classe, Maria teneva tra le braccia un serafico bebè di quattro mesi, addormentato. Chiese, allora, ai bambini di osservare il suo sonno, di notare come lui fosse tranquillo, felice. Piano piano i bambini, intenti nell’osservazione, riuscirono persino a percepire il suo respiro lieve. Fu a questo punto che la straordinaria maestra chiese loro di imitare il silenzio del piccino, e i bambini, curiosi, si cimentarono in questa sfida. Lentamente cessarono ogni movimento e il silenzio divenne il silenzio di tutti e risuonò solo del rumore delle gocce di pioggia che cadevano in cortile e del canto di un uccello posato su un albero lontano.
Il gioco del silenzio nasceva dunque con l’intento di sperimentare il silenzio stesso, per favorire l’ascolto dell’altro e per poter cogliere e godere delle infinite variazioni di tutto ciò che ci circonda. Un silenzio che rompendo lo stereotipo che tacere e obbedire siano sinonimi, favoriva nei piccoli la concentrazione e l’interiorizzazione delle esperienze anche quelle più ineffabili e inudibili.
Per i bambini, ben si sa, come il silenzio, soprattutto nella società del rumore, possa essere vissuto come distanza e solitudine tanto la voce, a partire dalle prime nenie o ninnenanne, è piuttosto vicinanza amorosa. Peraltro viviamo in una realtà dove l’inquinamento acustico ha costretto persino i piccoli volatili, che popolano le città, a modificare i toni del canto, alzandoli. (Il fenomeno è noto come effetto Lombard). Ma non solo gli uccelli o i mammiferi, tutti noi, in presenza di un omogeneo rumore di fondo, istintivamente si aumenta il tono della voce.
A scuola le ugole di bidelli, maestre, ragazzini non si risparmiano, in macchina si vocia tra chi guida e chi è seduto sui sedili posteriori, e in famiglia, alla tv, a un incontrastabile frastuono, ci si parla sopra! Senza considerare che secondo il New York Times, l'urlo è il nuovo ceffone: un numero sempre maggiore di genitori ansiosi e irritabili, trafelati e sfiniti, una volta su dieci, soprattutto la sera, si rivolge ai figli urlando. Alzare la voce diventa così il nuovo modo di sculacciare, sostituendo i decibel alle sberle. La scommessa diviene allora investire molto di più nell’educazione all’ecologia del silenzio, magari ritagliandosi, in casa, un po’ di spazio per giocare il gioco del silenzio insieme: genitori e figli.
Ma si può pensare anche a un restyling del pur prestigioso gioco. Perché non trasformare, ad esempio, il pigiama party in un misterioso silent party? Oppure, perché armati di stoffe nastri bottoni e feltro non dare il via alla costruzione, nel più fattivo dei silenzi, di silent books (detti anche quiet books), cioè libri “silenziosi” o “tranquilli”? O ancora, perché non pensare a una bella “gita del silenzio” un po’ fuori città con tanto di taccuino per scrivere, meditare, ascoltare la natura in cammino? Alla fine si tratta di abituarsi a “masticare” il silenzio con tante differenti e divertenti declinazioni, il che potrebbe essere l’inizio di un processo per introdurre, omeopaticamente, il silenzio nella vita rendendolo pane quotidiano.