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IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica Ludo-biblio AOU Meyer

Per un outfit inappuntabile si comincia dal bavaglino: ecofriends, multicolor, little star, reversibile o con pompom o pettorina, in spugna o all’uncinetto, in batista o piquet o silicone, a bandana oppure impermeabile, accessoriato o addirittura in pizzo vintage… e si piomba senza indugi nell’inno al gioco, al buonumore e alla fantasia della moda “bambini”.
Ed è innegabile come tanti ragazzini e adolescenti che muoiono dietro a blazer da domatori, balze ballerine, t-shirt o sneaker di marca, siano stati allevati fra sacchi-nanna sfiziosi, felpe, jeans, tutine, mini dress creati da grandi brand… abituati, comunque, fin dalla culla a essere protagonisti di un frenetico corri e compra, usa e getta, che rischia poi, nel percorso della crescita, di creare un penoso fraintendimento fra il senso di pienezza della vita e la pseudo-pienezza cui ammicca e induce il consumo.

D’altra parte siamo circondati da vere icone modaiole under-sei con tanto di baby look: baby star dagli inconfondibili cognomi e sempre a portata di scatto. La moda attanaglia, intriga, seduce. È glam anche per personaggi cult come Homer e Marge Simpson usciti a tutta pagina sul mensile americano Harper’s Bazar in abiti griffati o per le W.i.t.c.h. che hanno riconvertito il loro guardaroba optando per una nota maison. Per non parlare della intramontabile, algida, Barbie, omaggiata per il suo cinquantesimo compleanno a New York in un Runway Show che alternava sul red carpet ben cinquanta stilisti!

Ma non solo. Da decine e decine di librini cartonati,sbucano altrettante grintose mini-celebrities: ranocchie vanitose, gatti guru di leggins parade, ippopotami icone curvy, poetici passerotti collezionisti di scarpe e mutande e ancora topi stilisti prêt-à-porter, pecore cool intente a ideare e cucire cappotti in pura lana, elefanti couturiers in scaldamuscoli e molti altri ancora.
Sono racconti glamour che letti amorevolmente in famiglia, a voce alta, consentono di seguire le cronache di cotone della quotidianità di tanti bambini che sono: prima alle prese col dare nome e senso alle cose che indossano, dai golfini ai cappellini, e successivamente intenti a scalare con l’abbigliamento le prime tappe dell’autonomia infilandosi da soli, proprio come i loro eroi di carta, scarponcini e pantaloni a pinocchietto. Ma al di là di questi innocui, facili, rispecchiamenti che i librini esemplificano, oggi, nella nostra cultura, bambini e ragazzini vengono incessantemente sollecitati, fra brand e maison, all’appagamento di desideri indotti dalla pubblicità. Tanto che anche l’abito, un tempo indiscutibile status symbol, risente di un drop-down, di una flessibilità imitativa,tendente a omogeneizzare le classi sociali in un crescendo di vacue futilità.

La conseguenza purtroppo è che, gradualmente, la moda “dei” bambini, realizzata in casa, al nido, a scuola, fra amici e fatta di cappelli-pentole ribaltate; scarpe a scivolo; abiti di schiuma, calzini parlanti e di infiniti altri improbabili vestiti è diventata piuttosto la moda “per” i bambini, optando -fra i tanti linguaggi proposti dalla moda: provocatori, d’avanguardia, culturali, artistici e creativi -per un linguaggio unico, assertivo e commerciale.
Cosa possono fare allora quei tanti genitori non certo latitanti rispetto al complicato compito di lifelong education (educazione per tutto il corso della vita)?

Iniziamo con ricerche - su libri, web, mostre e dintorni – che illustrino anche ai più piccoli, ad esempio, le fantastiche incursioni della moda nell’arte: le provocanti simmetrie futuriste con abiti modellati a mitragliatrici, antenne, motoscafi; gli studi sul colore nello stile “simultaneo”, sartoriale, di Sonia Delaunay; “vestiti-poemi” intrigati dal fascino tutto francese di Aragon, Tzara, Huidobro.
I bambini si divertiranno moltissimo - con solo carta e colori - a creare segni, gocce, rondelle, bolle e geometrie e parole da indossare come quadri. Se poi vogliamo, opportunamente, coniugare la moda all’arte del cucire, del rammentare, del ricongiungere insieme con i pezzi di stoffa anche briciole di storie, non ci resta che: a) Dotare i bambini di una scatola. b) Aiutare poi i bambini a tagliare piccoli pezzi di stoffa (quadrati o triangoli) da ogni abito indossato fin da piccolissimi – e ormai dismesso - ponendo questi ritagli, in serbo, nella scatola. c) Attrezzarsi infine con ago e filo per procedere a creare, con tali pezzetti, un cuscino o una copertina patchwork che racconti, come fosse un quaderno, la storia della “propria” moda.