PER I NOSTRI FIGLI

di Angela Pittari, pediatra di famiglia
Bambina che sogna di essere in mare

Di “pipì a letto” (enuresi) si comincia a parlarne già 1500 anni avanti Cristo, in un papiro egizio dove vengono elencati alcuni rimedi per questo disturbo!

Di cosa parliamo? Fare la pipì a letto si definisce enuresi, cioè perdita di urina, di solito una minzione completa, che avviene durante il sonno, a un’età (dopo i 6 anni) in cui la maggior parte dei bambini ha ormai acquisito il controllo degli sfinteri.
Il fatto che un bambino si bagni involontariamente è considerato normale (fisiologico) nei primi anni di vita, ma già dal secondo-terzo anno cercherà di trattenere la pipì, magari senza riuscirci sempre; fino ai 5-6 anni si considera cosa normale fare la pipì a letto ogni tanto, durante la notte. Dopo questa età l’enuresi può divenire un problema disturbante, sia socialmente che per il benessere psichico del bambino.
Spesso i genitori, che fino a un certo punto erano propensi a giustificare la “pipì a letto” del loro bimbo perché considerato troppo piccolo, di “sonno pesante”, sicuri di essere di fronte a un problema irrilevante (tanto da non parlarne neppure con il proprio pediatra) e fiduciosi in una risoluzione spontanea, avanzano timidamente la loro perplessità: “Dottoressa, le dobbiamo parlare di un problemino! Le abbiamo provate tutte finora: rimproveri, premi, sveglia alle 3 di notte, suonerie sotto le lenzuola, megapannoloni… inutilmente”. Ora si fanno impellenti esigenze sociali come la gita scolastica, la notte da trascorrere a casa dell’amichetto, il ritiro della squadra di calcio, senza contare la tensione nell’ambiente familiare, il rapporto con la madre messo a dura prova dalla perdita preziosa di ore di sonno, dai frequenti cambi di lenzuola, dai rimproveri colpevolizzanti: “gli altri bambini alla tua età non si fanno la pipì addosso…” oppure “la tua sorellina sebbene più piccola di te non se la fa più addosso e tu sì…”.
La situazione si complica nella preadolescenza, quando le esigenze di socializzazione e la sensazione di “non essere come gli altri” rischiano di compromettere l’autostima, la percezione di sé, la qualità di vita e anche il rendimento scolastico.

Esiste chiaramente una predisposizione familiare, spesso un genitore o un familiare di un bimbo che fa la pipì a letto hanno presentato lo stesso problema durante la loro infanzia e sono guariti spontaneamente, ciò non significa che non c’è nulla da fare se non aspettare questa fantomatica guarigione.
Nella maggior parte dei casi non si individua una causa precisa dell’enuresi anche se risulta essere provocata essenzialmente da tre meccanismi più o meno coinvolti a seconda dei casi:
a) difficoltà a svegliarsi dal sonno in seguito a un rumore o a un suono e anche alla sensazione di vescica piena suggerendo un difetto nel meccanismo nervoso che regola la sensibilità a vari stimoli;
b) eccessiva produzione di pipì durante la notte per eccessiva assunzione di liquidi nella tarda serata, o per diminuita secrezione dell’ormone ADH (che normalmente fa concentrare le urine diminuendone il volume);
c) bassa capacità funzionale della vescica durante la notte che si traduce in uno svuotamento notturno della vescica quando ancora non è piena completamente.

Accanto alle forme cosiddette “primarie” (80% dei casi), quando non sia stato raggiunto il controllo minzionale notturno per un periodo di almeno 6 mesi, esistono le forme “secondarie” (20% dei casi), comparse dopo un periodo asciutto per più di 6 mesi che, pur riconoscendo una predisposizione di fondo, si associano a un’altra malattia:
- cistite: causa frequente dell’enuresi ma può anche complicare il suo decorso determinando delle contrazioni involontarie e perdita di pipì sia di notte che di giorno;
- fattori psicologici: la nascita di un fratellino, la separazione dei genitori, un lutto familiare o qualsiasi altra causa di disfunzione sociale, a casa come a scuola, può creare le premesse psicologiche per l’instaurarsi dell’enuresi soprattutto secondaria. Se è vero che fare la pipì a letto è motivo di stress per il bambino e per la famiglia, è anche vero che i soggetti con enuresi secondaria presentano un tasso più alto di disturbi comportamentali;
- stitichezza: può causare o complicare l’enuresi a causa della pressione che le feci nel colon esercitano sulla vescica innescandone la contrazione con conseguente svuotamento;
- diabete mellito: in cui la comparsa di enuresi può essere la spia di un cattivo controllo glicemico;
- anomalie del respiro durante il sonno: i bambini con ipertrofia adeno-tonsillare presentano frequentemente un disturbo del risveglio dal sonno associato ad una produzione eccessiva di pipì durante la notte;
- ostruzione a vari livelli dell’apparato urinario (rare, congenite o acquisite).

Al pediatra di famiglia spetta il compito di inquadrare correttamente il problema attraverso la raccolta di informazioni dai genitori e dal bimbo stesso, la visita accurata, la visione di “un diario minzionale” che fotografa esattamente le abitudini del singolo bambino riguardo al fare la pipì durante il giorno e la notte, le caratteristiche del sonno, la dieta e infine l’impatto emotivo che il problema provoca nei genitori e nel bimbo.
Se l’anamnesi e la clinica consentono di escludere patologie associate, la situazione deve essere gestita rassicurando i genitori sulla benignità del disturbo dando, allo stesso tempo, consigli che contribuiscono a diminuire l’ansia del bambino e la frustrazione che deriva dal sentirsi non adeguato.

Nella mia pratica ambulatoriale, dopo aver spiegato alla famiglia obiettivi, effetti, vantaggi e svantaggi dei possibili approcci, sono solita dare un piccola lista di consigli pratici che possono consultare agevolmente nel difficile, delicato e lungo sostegno al loro piccolo.
1. modifica dello stile di vita incoraggiando a svuotare correttamente la vescica durante il giorno (dalle 4 alle 7 volte), ad assumere la corretta posizione sul water (per le femminucce), fare la pipì subito prima di andare a letto;
2. assunzione di liquidi e dieta corretta incoraggiare a bere molto al mattino (almeno 1 litro) e pochissimo dopo cena per permettere una attiva “ginnastica vescicale” fatta di regolari riempimenti e svuotamenti; evitare bevande contenenti caffeina come the e coca-cola; evitare cibi ricchi di calcio (formaggi) o troppo saporiti (salumi, pizza) perché aumentano la produzione di urina durante la notte;
3. consentire un sonno sereno senza risvegli forzati che non portano nessun miglioramento dell’enuresi anzi, inducono a nervosismo e frammentazione del sonno;
4. intestino regolare favorito da una dieta ricca di frutta e verdura;
5. attività fisica regolare e costante che previene il sovrappeso (presente in alta percentuale nei bambini con enuresi) responsabile di un peggioramento del problema nonché di una inadeguata risposta alla eventuale terapia farmacologica;
6. sostegno psicologico* fondamentale sia per i genitori che devono essere incoraggiati a condividere la loro esperienza con il figlio (la consapevolezza che la mamma o il papà abbia superato il problema è di per se terapeutico) che per i l bambino che si sente SOLO con il suo disturbo, pervaso da un profondo senso di vergogna e di imbarazzo, basso livello di autostima che probabilmente persisterà anche quando il problema avrà trovato una soluzione.

A volte l’approccio comportamentale non è sufficiente e il fattore psicologico diventa così importante che gli stessi genitori mi chiedono: “ma non c’è proprio niente che il bambino possa prendere per risolvere questo inconveniente?”
E allora, sulla base delle informazioni raccolte, dell’esame delle urine e urino-cultura, dell’ecografia delle vie urinarie, definito il tipo di enuresi, il pediatra può prescrivere una terapia farmacologica con desmopressina* che riduce la quantità di urina prodotta durante la notte, nonché produce un benefico effetto sulla “risvegliabilità” notturna del bimbo conseguente allo stimolo urinario. Il farmaco viene somministrato sotto forma di compresse al momento di coricarsi con una dose inizialmente bassa che può essere aumentata se gli effetti tardano a manifestarsi. Il trattamento deve essere continuato per 3 mesi e nel caso di raggiungimento dell’obiettivo (4 settimane asciutte) si procede alla sospensione graduale del farmaco. Gli studi scientifici sembrano indicare che questa terapia funzioni nel 60% dei casi; i miglioramenti si cominciano a vedere già dopo il primo mese di terapia, anche se il bimbo può sporadicamente fare ancora la pipì a letto. In questo periodo è fondamentale fare riferimento al proprio pediatra, che offrirà il suo supporto al bambino e alla famiglia nel gestire un disturbo che può mettere a rischio la serenità della vita familiare, dell’attività lavorativa degli adulti e soprattutto lo sviluppo psicologico del bambino.
Questo rapporto empatico, tra pediatra e famiglia è la chiave per stabilire un’alleanza terapeutica in grado di aumentare le possibilità di successo del percorso intrapreso.

*Ricordiamo che la consulenza dello psicologo, l'effettuazione degli esami e l'uso della desmopressina sono di esclusiva competenza del pediatra.