PSICOLOGIA

a cura del servizio di Psicologia ospedaliera pediatrica AOU Meyer

Senza accorgercene, nel giro di pochi giorni, a volte di poche ore, si è creata una frattura importante tra il prima e l’oggi: qualcosa di invisibile, un virus, è entrato nella vita di tutti noi chiedendo distanza, ma mostrandosi sempre più vicino. L’invisibile prendeva forma dalle immagini di strade vuote, porte chiuse, bocche mascherate, ne rappresentava la voce i medici, gli infermieri, pazienti e politici che chiedevano aiuto, che indicavano numeri.

All’improvviso, l’invisibile è diventato la minaccia a molti dei bisogni fondamentali di un essere umano, frustrandoli: bisogni di sicurezza e protezione, di amore e cura, di esplorazione, condivisione e autonomia, spontaneità e gioco.

È stato richiesto a noi adulti, ai bambini e ai ragazzi di confinarci in uno spazio ristretto, da cui solo l’adulto può “evadere” e solo per esigenze vitali (cibo, medicine, bisogni di chi non può farlo in autonomia). Ci è stato prescritto di non condividere fisicamente il nostro dolore, di tenere a distanza le persone che amiamo, di sospendere qualunque attività fonte di guadagno e di piacere. Tutto questo per e con immagini di malati e morte, con la possibilità reale di poter essere agenti contagianti o contagiati. Questo è lo spazio sempre più restrittivo in cui da un mese viviamo e ciò che è improvviso, sconosciuto, minaccioso impatta fortemente sulla nostra risposta emotiva.

Tutto quello che viviamo è oggi accompagnato da emozioni che non piacciono ma che è importante riconoscerci come giuste, senza giudizio. Come non comprendere la paura di perdere il lavoro? Come non riconoscere e “giustificare” la rabbia di un ragazzo (ma anche di un adulto) a cui vengono imposte restrizioni totali alla propria libertà personale. Ha valore la nostra preoccupazione per i genitori anziani, per il partner al lavoro. Ha valore la sensazione di stanchezza che proviamo anche se siamo a casa a non far “niente”. L’imbarazzo (e l’ingegno) di essere in una telescuola. La frustrazione del non sentirci capiti.

Ci sarà capitato di provare rabbia verso chi le norme sembra non averle ascoltate o non volerle ascoltare. Ci siamo sentiti tristi e, impotenti, ma anche annoiati da questo tempo che ha cambiato ritmo. Sentimenti di colpa sono sopraggiunti per tutte le cose di cui non stiamo riuscendo a occuparci, e forse per i sorrisi che non riusciamo a regalare ai nostri cari Magari vediamo amplificarsi conflitti con il nostro compagno, quei problemi messi sotto il tappeto ora sono diventati piccole o grandi montagne. Persone care o più distanti soffrono e noi siamo lontani: si, abbiamo diritto a essere confusi, ad aver voglia di piangere o di non far nulla. Ma abbiamo diritto anche di sentirci felici, di sentirci grati per qualcosa di semplice che stiamo vivendo. Possiamo non sentirci in colpa se ci sentiamo bene nonostante intorno ci sia dolore. Possiamo sorridere per la goffa videochiamata col parente lontano, del lavoro in smart-working con pantofole, trucco o cravatta. Possiamo sentire ogni emozione cercando di regolarla e gestirla per non farcene travolgere, cercando di lasciare uno spazio ogni giorno a un pensiero di gratitudine, di cura e compassione per noi.

Ecco qualche consiglio su come occuparci dei nostri bambini in questo tempo:

Bisogno di sicurezza. Informare. I bambini hanno diritto di conoscere cosa accade intorno a loro, anche se questo significa raccontare qualcosa di molto spiacevole. Raccontiamo con parole semplici, attraverso l’uso di filastrocche o disegni reperibili su internet da fonti attendibili, in un luogo tranquillo e con un tono sereno, di questa pandemia. Spieghiamo che tutti noi stiamo seguendo delle regole per stare presto meglio e far allontanare questo Coronavirus. Questo aiuterà a non utilizzare una lettura egocentrica degli eventi e esplorare personali strategie per affrontare quello che sta accadendo. Anche le comunicazioni di morte e malattia hanno bisogno di essere condivise e quando non sappiamo come farlo nel modo giusto possiamo rivolgerci ai servizi psicologici disponibili anche in questo momento.

Validazione e condivisione. Non dobbiamo far finta che tutto vada bene, non bisogna farci vedere sorridenti per forza. Possiamo raccontare della nostra tristezza e paura (con il linguaggio dei bambini e senza trasformarli in amici) e chiedere loro come si sentono, senza minimizzare, aiutandoli a raccontare della loro paura o rabbia attraverso disegni, costruendo insieme il personaggio spaventoso e il guerriero coraggioso che la paura la sente ma la affronta. Guardiamo insieme ad esempio un film come “Inside out” e poi individuiamo la nostra tristezza oggi, la nostra gioia oggi.

Bisogno di condivisione. Manteniamo il contatto con l’esterno attraverso l’utilizzo di videochiamate al compagno di classe o di sport, favorendo il gioco online con l’amico, consentendo magari un limite più flessibile rispetto al “prima”. Possiamo scrivere la lettera alla maestra che ci manca.

Bisogno di spontaneità e gioco. Incoraggiare il bambino a non isolarsi, se non per un tempo limitato, promuovendo attività ludiche da svolgere insieme o in autonomia. Utilizziamo questo tempo per scoprire le abilità creative e manuali, nostre e del bambino.

Bisogno di regole e limiti. Programmare le attività della giornata prevedendo il tempo dello studio, privilegiando la mattina o contrattando un orario del pomeriggio e prevedendo un tempo in cui guardarli insieme. Mantenere l’orario dei pasti e del sonno il più possibile simile al prima. Riconoscere nel planning giornaliero uno spazio per i lavori domestici (ad ogni età si può collaborare!) ma anche per il gioco autonomo o familiare. Stabilire dei confini nello spazio ove possibile, pensando alla stanza del gioco, quella dei compiti, quella dei pasti. Confini e regole che devono essere indicati ancora di più se si hanno più bambini o ragazzi di cui occuparsi, incoraggiando al rispetto dello spazio altrui.