PSICOLOGIA

a cura di Laura Vagnoli, psicologa AOU Meyer

Disegno di un bambini che ridono in braccio alla madre con il papà che fa il buffone Il termine humor è comunemente utilizzato per riferirsi a tutto ciò che riguarda il divertimento e la risata e comprende quell’insieme di azioni, affermazioni e situazioni che evocano negli altri una reazione divertita. Il riso, abitualmente, accompagna l’esperienza umoristica e ne costituisce l’espressione esterna, indicando che la persona sta sperimentando qualcosa di divertente.

Storicamente i ricercatori hanno definito l’umorismo come un’attività inconscia che si sviluppa sin dall’infanzia in modo spontaneo ed incongruente ma anche come un'abilità di comunicazione e un mezzo per promuovere il processo fisiologico e psicologico della salute.

Da sempre viene ipotizzato che il sorriso si manifesti già nel grembo materno. Osservando i bambini nati prematuri nei loro primi giorni di vita è possibile notare già la presenza di un sorriso: si tratta di un sorriso meccanico, spontaneo, le cui cause sono ancora insondabili. Poco più avanti nello sviluppo, invece, compare il cosiddetto sorriso sociale che nasce in risposta a stimoli precisi, quali la voce, i toni alti e successivamente in risposta all’associazione voce/viso in movimento; esso sembra presentarsi a partire dalla terza settimana di vita, tanto che si ritiene che nel bambino sorridere sia una sorta di predisposizione innata.

Il sorriso del neonato si trasforma poi nel riso del bambino quando diventa una vera e propria modalità espressiva di gioia e di contatto fisico, in primis con la madre: il bambino di sei mesi, per ridere ha bisogno di un altro essere umano posto di fronte a lui (non di profilo) che sorride, muove la testa e annuisce. E’ solo dopo i primi sei mesi che smette di sorridere ad ogni cosa piacevole e il sorriso diventa una risposta a stimoli specifici che presentano incongruenze e stranezze rispetto alla quotidianità, che stupiscono generando un effetto sorpresa (es. gioco del cù-cù). Nello stesso periodo il bambino comincia anche a creare lui stesso stimoli divertenti, ad esempio ripetendo intenzionalmente un atto o una parola che ha suscitato ilarità nell’altro. Con lo sviluppo cognitivo, entro i sette/otto anni, per i bambini diventano disponibili nuove forme di umorismo: in questa fase le capacità cognitive acquisite giocano un ruolo centrale nel generare divertimento in risposta a diversi stimoli e tale evoluzione consente loro di cominciare a sperimentare differenti livelli di humor.

Il senso dell’umorismo, infatti, da competenza embrionale del bambino piccolo, si arricchisce in parallelo con lo sviluppo di altre competenze, fino alla maturità: lo sviluppo dell’intelligenza, la padronanza del linguaggio e dei movimenti del corpo, per esempio, permettono al bambino e poi all’adolescente di comprendere e di apprezzare battute di spirito, storielle e indovinelli sempre più raffinati, così come di fare esperimenti con le parole e di scoprire il divertimento nel fare giochi e doppi sensi verbali.

L’humor ha una valenza multidimensionale, con implicazioni a livello fisiologico, sociale e cognitivo che determinano conseguenze sulla salute: infatti, al termine di una risata si ha un rilascio di endorfina i cui effetti sono immunostimolante, antidolorifico, euforizzante e calmante. Ne è un esempio la correlazione tra lo stress e l’humor: chi ha un buon senso dell’umorismo è capace di ridere di se stesso e può utilizzarlo come strategia per far fronte ad una situazione spiacevole e per gestire con più efficacia lo stress, riducendo ansia, ostilità e collera. Inoltre, gli studi testimoniano che chi ha senso dell’umorismo risulta più sicuro di sé, più socialmente competente ed attraente e più abile nel ridurre le tensioni ed i conflitti all’interno delle proprie relazioni interpersonali: ne deriva una maggiore possibilità per questi soggetti di costruire relazioni sociali e intime soddisfacenti, soprattutto con i coetanei.

La famiglia rappresenta il primo ambiente dove si apprende e si sviluppa il senso dell’umorismo, sia nel saper ridere che nel far ridere, attraverso il modo in cui i genitori guidano i propri figli nell'interazione con il mondo che li circonda. Un clima allegro e giocoso può facilitare questo apprendimento ed esso può esser stimolato con letture, giochi, scherzi divertenti adatti alle varie fasce d'età.

E' importante saper sfruttare la capacità di immaginazione dei bambini che gli permette di cogliere il non detto di una battuta scherzosa e di comprendere il non senso, l’incongruenza, il paradosso tipico degli stimoli umoristici, imparando a riderci sopra. Fondamentale è quindi incoraggiarli a trovare il lato divertente delle situazioni, soprattutto di quelle più difficili, e stimolarli sin da piccoli a comprendere la differenza tra una battuta di cattivo gusto (umorismo aggressivo e difensivo) ed una divertente (umorismo affiliativo e rafforzativo), da riproporre in modo adeguato con gli altri senza ferire nessuno.

Dunque, l'umorismo è un’abilità che può essere coltivata e sviluppata, ma per aiutare i bambini a comprenderlo appieno è necessario che gli adulti partecipino al divertimento in modo attivo e condiviso, mettendosi per primi in discussione. Le vecchie barzellette, il nuovo umorismo che passa per vie elettroniche (media e social media, in particolare), l’umorismo conversazionale, sono altrettante occasioni da non perdere per una crescita gradevole e sana del senso dell’umorismo e non solo. Inoltre, in momenti difficili e di isolamento come quelli che stiamo vivendo, l’umorismo può essere una grande risorsa per mantenere la possibilità di non perdere il sorriso.