IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica Ludo-biblio AOU Meyer

Non è facile immaginare babbi e mamme grandi e grossi, giovani o meno giovani, con tutto il loro carico di fatiche e imprese quotidiane, dedicare scampoli del loro poco tempo al gioco del “tappo volante” o del “dado allegro” o dei “pupazzi al vento”.

Nomi buffi, suggestivi, che spesso riecheggiano i giochi di una volta; giochi che come sappiamo, radicano nei propri figli il senso di appartenenza alle tradizioni familiari e al farsi della storia un po’ di tutti. Sono per lo più giochi di pazienza, di destrezza anche manuale; giochi di compagnia, di condivisione; giochi dove paradossalmente è il talento creativo a educare al tempo e alla fatica, a trovare idee e soluzioni nuove, costringendo non di rado, i giocanti, a ripensare e rivedere il proprio punto di vista. Il gioco è per eccellenza un qualcosa di imprevedibile, capriccioso mutevole e mutante, è come il vento: elastico.
Però una domanda è lecita: che servirà mai, alla fine, tutto questo giocare, tutto questo darsi da fare? A tutto e a niente, si potrebbe rispondere.

C’è tanto di felicemente inutile e bislacco nei giochi; nei bambini il bisogno di giocare è per giocare, per rapportarsi gradualmente alla complessità di un mondo duro e difficile. Anche per questo bambini e ragazzini hanno bisogno di adulti che provino piacere nel trasmettere loro la fortuita sapienza del gioco e che, soprattutto, non istillino in loro l’ossessione dei fini da raggiungere, il che, oggigiorno, avviene di solito molto precocemente.
Se invece le condizioni di vita materiali lo consentono, i bambini, quelli più fortunati, sono naturalmente creativi, tanto che i bambini e ovviamente le bambine non hanno alcun bisogno di lezioni di creatività.

Tuttavia questo loro potenziale può essere sviluppato soltanto in un ambiente fertile che fornisca molteplicità di esperienza e li arricchisca, esponendoli alle diversità di culture, di ambienti, di vite.
E allora lancia in resta, si può iniziare a giocare affrontando a viso aperto - come fa l’ingenuo, ma a modo suo eroico, cavaliere della Mancia- anziché mulini Pupazzi al vento”.

Servono almeno 4 giocatori, ognuno dei quali costruirà il proprio pupazzo. Per il corpo del pupazzo conviene utilizzare i tetrapack del latte, mentre per le braccia e per le gambe si possono impiegare tappi di sughero attaccati con lo scotch nei posti giusti! Di sicuro avranno le gambe un po’ corte… ma pazienza. L’importante è praticare sulla pancia di ognuno un bel buco di circa 8 cm. (indifferentemente rotondo o quadrato).In un secondo tempo, sollevando quella specie di orecchie laterali del tetrapack ormai diventato pupazzo, si realizzeranno due piccoli buchi (uno per parte) facendovi passare all’interno un elastico che successivamente sarà legato e fissato a un lungo spago: garante quest’ultimo della stabilità dell’ondivaga creazione. Così, con una tale non semplicissima procedura, i concorrenti si saranno guadagnati la possibilità di appendere al vento i loro pupazzi; va benissimo il ramo di un albero, il bastone di un tendaggio,ecc…
Purché ondeggino, creando un effetto epico, intrigante, surreale alla Don Chisciotte.

Nel frattempo si saranno costruite delle palline avvolgendo qualche manciata di sale grosso nella carta e chiudendola bene con lo scotch. Una volta stabilito quanti tiri avrà a disposizione ciascun giocatore, si inizia la gara e ogni giocatore dovrà tirare le palline cercando di centrare il buco nella pancia del proprio pupazzo.
Più centri si fanno, più palline “bucheranno” la pancia, più ovviamente il pupazzo prenderà peso, allungandosi di conseguenza. Vince chi farà allungare di più il proprio pupazzo.

In palio manicaretti e ghiottonerie dalla Mancia: “duelli e dolori” alias una squisita frittata col lardo e una fumante Olla Podrida… tutta da scoprire!