PSICOLOGIA

a cura di Verena Balbo, psicologa AOU Meyer

Ci sono emozioni che spesso non riusciamo a tollerare, abbiamo difficoltà a riconoscere normali. Quando poi queste le vediamo espresse sui volti dei nostri figli o ancor peggio agite, ci attivano preoccupazione, disagio, tristezza, frustrazione e impotenza se non addirittura un senso di inadeguatezza: nulla sembra riuscire a ripristinare uno stato “positivo”.
Anche i bambini possono provare rabbia per mille ragioni, così come noi adulti: la percezione di un danno o di una ingiustizia subita (una promessa non mantenuta, un rimprovero non meritato), il mancato soddisfacimento di un desiderio o bisogno, la mancata vicinanza di un genitore, un percepito o reale fallimento.
Più frequentemente siamo portati a riconoscere la rabbia per le sue manifestazioni verso l’esterno come forma di aggressività verbale e/o fisica espressa con il genitore, i fratelli, i compagni o attraverso un buttarsi a terra disperato. La rabbia ha però una sua manifestazione più silenziosa, interna, di distacco. Può anche essere un secco “no”, tradursi in isolamento o rifiuto di situazioni o persone.

Ci sono poi situazioni in cui la rabbia, del bambino così come dell’adulto, rappresenta una risposta “difensiva” rispetto ad altre sue stesse emozioni, cosiddette primarie. Può urlare, sbattere i pugni o lanciare oggetti ma essere prima triste o spaventato. Può avere appreso che non va bene piangere, che è da “deboli” essere tristi ed esprimere così il suo malessere attraverso una più socialmente riconosciuta e riconoscibile “forte” rabbia.
Se è vero che le forme esternalizzanti sono quelle che più sollecitano l’attenzione dei genitori inducendo a comportamenti di rinforzo, di escalation o di richiesta di aiuto, è anche vero che la rabbia (così come ogni emozione, ancor più se “negativa”), in ogni sua forma, andrebbe compresa.

Proviamo a chiederci che cosa ha innescato quello stato emotivo; esploriamo quale pensiero automatico sia alla base (ricordando che non è mai soltanto la situazione ma quello che ci passa per la testa a farci sentire arrabbiati o spaventati o felici); individuiamo e disegniamo con i nostri figli le situazioni in cui si sentono e ci sentiamo più vulnerabili alla rabbia.
Dovremmo abituarci con loro a dare un nome e una funzione a quello che sentiamo, evitando di minimizzare, censurare, punire: aiuta noi e il bambino, favorisce la comprensione e l’adozione di strategie di auto ed etero regolazione di una emozione assai faticosa da sentire. Talvolta, ci troveremo davanti a bambini inconsolabili, incontenibili: diamogli ascolto, conteniamoli, proviamo un abbraccio anche quando questa è l’ultima reazione che ci verrebbe in mente, verbalizziamo per lui quanto sta accadendo, non allontaniamoci, impariamo a legittimare la rabbia e a identificare modi più funzionali per gestirla.

Infine, ricordiamoci che i genitori hanno diritto a sentirsi arrabbiati, verso se stessi, il proprio ruolo, verso i propri figli in un dato momento.
Non è sbagliato sentire rabbia può essere erroneo negarcela, identificare la rabbia verso il comportamento del figlio con il figlio stesso, colpevolizzarci.