IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica Ludo-biblio AOU Meyer

“Giochiamo al mimo?”: uno dei migliori antidoti anche per quella imprecisa noia che capita con l’avviarsi della calura estiva. Un gioco di sempre, una sorta di “imitazione muta” che affida al gesto e alla mimica la rappresentazione di mestieri, di parole, come pure di stati d’animo, di azioni e persino di minuscole storie.

Peraltro i ragazzini si divertono moltissimo ogni qualvolta le passioni, gli imbarazzi e le esitazioni della vita quotidiana siano affidate alle suggestioni e a tutti quegli ammiccamenti che mimica comporta, prova ne siano le innumerevoli, esilaranti, sitcom che li tengono incollati davanti a smartphone, tablet e TV; sempre che non si voglia scomodare gli intramontabili Stanlio e Ollio, Totò o lo stralunato Monsieur Hulot di Tati o Charlot: l’iconico vagabondo del cinema muto.

Di sicuro ci sono molte differenti declinazioni di questo gioco ma, prima di tutto, sia che ci si divida in squadre, sia che si giochi più o meno in solitaria, bisognerà individuare le categorie che si vogliono mimare. Si può spaziare dagli animali (leone, cane, serpente, gatto, struzzo...) alle azioni (svitare, leggere, lavarsi, scrivere...), ai personaggi dei libri o dei cartoni (Pinocchio, Biancaneve, Mago Merlino, Crudelia, Robin Hood...) ai lavori (contadino, cuoco, vigile...) ecc…
Giocando in gruppo, come pure in famiglia, sarà poi divertente preparare alcuni biglietti con su scritto chi o che cosa imitare. Inseriti i biglietti, opportunamente ripiegati, in un bel barattolo di vetro, magari decorato con la scritta “MIMI”, si procede invitando il Mimo di turno, bendato, ad affidarsi alla sorte.

Non si pensi però che il gioco “Alle belle statuine” detto anche “statue viventi” sia un gioco di Mimo. Alle belle statuine… siete pronte signorine? per quanto divertente è più vicino ai tableau vivant (quadri viventi). Manca infatti di quel minimo di sequenza narrativa, di sintassi dei movimenti, che il Mimo ha in sé. Per farla breve diciamo pure che l'immobilità non è arte mimica!

Si aggiungono al puro divertimento che giocare al Mimo scatena anche riflessioni di stampo squisitamente pedagogico. Intanto l’arte di imitare richiede persino ai più piccoli di ricorrere alle loro capacità deduttive. Inoltre sviluppa le abilità cognitive a esprimersi con il corpo nonché la comunicazione e l’attenzione alla comunicazione non verbale. Per non parlare degli effetti benefici, salvifici, riconosciuti - da Freud in avanti -all’umorismo!

In questa direzione, si esalteranno gli effetti del comico se, nel nostro barattolo di vetro MIMI, inseriremo alcuni detti famosi. Come mimare ad esempio: avere le mani bucate, nascere con la camicia, campa cavallo che l'erba cresce, mettere la pulce nell'orecchio,prendere lucciole per lanterne,avere la puzza sotto il naso… e chi più ne ha, più ne metta!

Se poi vogliamo rendere il gioco più suggestivo e magari farne il cuore di una festa di compleanno basterà aggiungere: uno spazio adibito a palcoscenico (e chiamarlo alla latina pulpitum), inserire una passerella che fa molto Kabuki, genere giapponese di spettacoli Mimo, e coprire il volto del protagonista con una maschera. A piacere, per rendere l’atmosfera più intrigante, si può accompagnare il Mimo con nacchere e flauti in sottofondo.

Infine i partecipanti al gioco rimarranno a bocca aperta, se li farete disporre in buon ordine e senza “calzari” sotto un cartellone indicante planipedes: antica usanza latina per indicare gli attori preposti a un’arte che, evidentemente, mai declina.