PER I NOSTRI FIGLI

a cura di Angela Pittari, pediatra di famiglia

Anche se al momento non ci sono ragioni di un reale allarme generalizzato, molta attenzione viene data ai casi di epatite acuta osservati in alcuni bambini in Italia e già segnalati, nei mesi scorsi, in diverse nazioni europee. In totale, le segnalazioni riferite a pazienti in età pediatrica in Italia sono al momento 11: di questi casi, solo un bimbo di 3 anni ha sviluppato una forma molto aggressiva.
Da qui è scattata l’allerta e si sono moltiplicati gli accertamenti ematici e strumentali dei casi, anche se solo sospetti, nell’intento di arrivare velocemente a una diagnosi di certezza di epatite, di identificare l’agente patogeno responsabile, la fonte del contagio e bloccare così la diffusione della malattia. In breve tempo, nei laboratori di microbiologia, è stato identificato il piccolo virus a RNA detto virus A (HAV) dell’epatite.
Per fortuna, almeno allo stato attuale delle conoscenze, gli epidemiologi e i microbiologi hanno fugato ogni preoccupazione sulla possibilità di un’epidemia poiché sono scattate tempestivamente tutte le misure di prevenzione igienico-sanitarie e le vaccinazioni nei soggetti vergini (cioè privi di anticorpi specifici).

L’epatite A è un’infezione altamente contagiosa che aggredisce le cellule epatiche danneggiandole; si contrae per via oro-fecale, attraverso il contatto con persone infette che non osservano le comuni norme di igiene personale e quelle indispensabili per la manipolazione degli alimenti,oppure attraverso l’ingestione di acqua contaminata da feci umane.
Il virus, eliminato con le feci può infatti resistere a lungo nelle acque dei fiumi, laghi e mari, contaminando le falde acquifere e attraverso di esse raggiungere svariati tipi di alimenti, quali pesci, molluschi, crostacei, verdura, frutta e tutti i prodotti derivati.

Per fortuna l’epatite A, rispetto alle altre forme (B,C,E...) non è pericolosa e la naturale evoluzione è benigna con guarigione dopo 2-10 settimane, senza esiti a distanza. Solo in rari casi può evolvere nella temutissima Epatite Fulminante e per questo motivo non bisogna sottovalutarla e mettere in pratica, al più presto tutte le possibili misure di prevenzione proteggendo i soggetti più a rischio. L’ epatite A non evolve mai verso la cronicità, a differenza di quanto accade per l’epatite B e C, e l’immunità che si sviluppa dopo l’infezione è permanente cioè proteggerà il soggetto da nuove infezioni per tutta la vita.
Dopo un periodo di incubazione, decisamente lungo e in genere in apparente benessere (in circa il 70% dei bambini) che varia da 15 a 50 giorni dal momento del contagio, si hanno i primi sintomi. Durante questo lungo periodo, per così dire clinicamente silente, il soggetto è contagioso eliminando il virus con le feci, questo non fa altro che favorire la trasmissione e la diffusione della malattia.

I primi sintomi sono molto simili a quelli di una comune forma influenzale (febbre, nausea, inappetenza, malessere generale, mal di testa e disturbi digestivi) per cui non permettono di sospettare la reale malattia ma, a questa fase nota come pre-itterica segue la manifestazione conclamata dell’epatite: l’ittero, una colorazione giallastra della cute e soprattutto della congiuntiva, espressione del danno epatico con conseguente liberazione di bilirubina nel sangue, a cui si può aggiungere il tipico dolore in sede epatica sottocostale destra.
Anche le urine possono diventare scure a causa della bilirubina che si accumula in circolo, mentre le feci diventano chiare. È importante specificare che la malattia, nei bambini piccoli (sotto i 6 anni), quasi sempre decorre in modo asintomatico eccetto che per la colorazione itterica della pelle tipica della seconda fase.
Nei bambini più grandi e negli adolescenti invece si può avere, in parte o tutto, il corredo sintomatologico sopradetto e non sono rare le complicanze.
I sintomi, quando presenti, possono persistere per un periodo che va da 2 a 6 settimane, dopo le quali, se si rispetta un regime di adeguato riposo e di alimentazione corretta, vanno incontro a una spontanea remissione senza lasciare esiti.

L’infezione da epatite A può essere facilmente smascherata da pochi esami ematici: dosaggio della bilirubina, transaminasi, dagli indici di flogosi e soprattutto dal dosaggio degli anticorpi specifici, IgM anti-HAV, che compaiono precocemente e scompaiono con altrettanta rapidità dopo pochi mesi; per questo sono considerati un marker di infezione acuta per una diagnosi sicura. Le Ig G che invece compaiono durante la convalescenza e permangono tutta la vita testimoniano la pregressa malattia e l’immunità acquisita nei suoi confronti.
Per l’epatite A la miglior cura è la prevenzione. Non è infatti possibile una cura specifica, se non la precoce somministrazione di gammaglobuline standard (anticorpi) entro 7-14 giorni dal contagio nei soggetti a rischio di gravi complicanze. Di conseguenza, se i sintomi sono già comparsi, sono perfettamente inutili e la terapia è solo sintomatica, ricordando che il sistema immunitario, anche nei bambini piccoli, è in grado di sconfiggere il virus senza l’utilizzo di medicinali.
Semplici norme dietetiche come ridurre l’apporto calorico con piccoli spuntini, ridurre i grassi (che affaticherebbero ulteriormente il fegato) e favorire le pietanze facilmente digeribili come zuppe, yogurt, frutta e verdure sono sufficienti a portare il soggetto di qualsiasi età alla guarigione. Sarebbe buona cosa (anche se di difficile attuazione nei bambini e negli adolescenti) ridurre l’attività fisica sportiva e associata alla dieta bilanciata un’adeguata assunzione di liquidi.

Come per altre malattie la prevenzione primaria e più sicura è costituita dalla vaccinazione che è consigliata per i bambini sopra l’anno di età, che per turismo o per necessità si recano nei paesi di origine (del bacino Mediterraneo) dove l’epatite A è molto diffusa per le scarse condizioni igienico-sanitarie.
La somministrazione del vaccino viene effettuata per via intramuscolare nel braccio ed ha un’efficacia pari al 94%, conferisce un’immunità a partire da 14-21 giorni dalla somministrazione della prima dose e una seconda dose di richiamo è richiesta dopo 6-12 mesi che permette di ottenere una protezione per 10-20 anni e più. Raramente sono riportati effetti collaterali come per altri vaccini: malessere, mal di testa, stanchezza oltre che ai classici effetti locali come il rossore e una lieve tumefazione nella sede dell’iniezione.

Viaggiando si consiglia di consumare frutta e verdura accuratamente lavate ma preferibilmente sbucciate, evitare carne o pesce crudi o poco cotti, bere e lavare i denti con acqua in bottiglia, non consumare bevande con ghiaccio e se non è disponibile acqua in bottiglia, far bollire l’acqua del rubinetto per 10 minuti prima di berla.
È bene rinnovare i consigli per una buona e attenta igiene personale: lavare accuratamente e spesso le mani per prevenire le infezioni, lavarsele in particolare dopo aver usato i servizi igienici, prima di cucinare, e dopo aver cambiato il pannolino di un bambino, non condividere con altri (anche se della stessa famiglia) asciugamani, posate o spazzolini da denti.