PSICOLOGIA

a cura di Rosanna Martin, psicologa e psicoterapeuta AOU Meyer

Quando ci accingiamo a scrivere, leggere e quindi a riflettere sull’adolescenza, non possiamo non incontrarci con la nostra personale adolescenza. La propria adolescenza può essere vista con troppa accondiscendenza o esasperazione pensando che è terminata e che le angosce del passato non sono più le proprie oppure si può avere nostalgia dei vissuti adolescenziali. Poter avere un buon punto di vista sul tema adolescenza significa trovare una giusta distanza di riconoscimento, accettazione e elaborazione, sentendoci sempre un po’ in contatto con essa.
Ciò può far di noi un adulto capace di ascoltare.

Rispetto a molti anni fa, oggi gli adolescenti sono disposti ad incontrarsi con l’adulto. Tutti gli spazi istituzionali messi a disposizione, si saturano molto rapidamente, segnale che parlare è diventato possibile, è necessario l’adulto competente che si ponga alla giusta distanza, non troppo vicino ma nemmeno troppo lontano.
È dalle storie cliniche raccolte, dalle osservazioni degli psicoterapeuti esperti dell’adolescenza e da tutte le figure che riescono a parlare in profondità e dalle esperienze di adulti “sopravvissuti” all’adolescenza, che possiamo ipotizzare come la depressione sia la più classica e micidiale malattia dell’adolescente. La depressione può essere vista come la malattia dell’amore e colpisce il motore del processo adolescenziale: l’identità sessuata (G. Pietropolli Charmet, 2000).
Dicendo di no all’amore e all’accoppiamento, compare la convinzione di provare solo disinteresse per gli altri, l’adolescente percepisce allora una sorta di sterilità affettiva conseguente a sentimenti d’inutilità e inadeguatezza.

L’adolescente è triste perché si sta separando dal bambino che è stato. Non riesce più a sentirsi prezioso, unico, un piccolo idolo dal futuro prodigioso, le esperienze di crescita lo hanno posto di fronte a momenti di delusione circa le proprie capacità sia cognitive che relazionali, così diverse rispetto all’infanzia.
La tristezza quindi può nascere dall’esperienza di crescita, dal confronto che l’adolescente fa con il bambino che è stato, dal senso di colpa per non sentirsi all’altezza proprio di quel bambino. Distinguere fra tristezza e depressione non è semplice, spesso le due condizioni sono simili e si distinguono solo per l’intensità affettiva.
Come se ne esce? Faticosamente…

La ricerca di una nuova identità dovrebbe poter procedere per prove ed errori come vuole il metodo scientifico. Ma gli errori non sono contemplati in adolescenza. Proprio i fallimenti, le critiche, gli insuccessi momentanei, costituiscono la conferma dello scarso valore che l’adolescente imputa a se stesso. Anche le critiche (spesso fondate) che gli adulti “sbattono in faccia” ai ragazzi/e, sono conferme del loro personale disvalore.
C’è un passaggio fondamentale da fare per superare questa fase malata, l’elaborazione di un lutto. Lutto per il bambino che si è stati, lutto per i genitori fantastici dell’infanzia, lutto per l’innocenza.
Una volta che si è accolta l’ambivalenza dell’amare ma anche dell’odiare, sarà possibile non spaventarsi quando la rabbia fa compiere pensieri orribili per se e per gli altri e l’adolescente scoprirà l’indulgenza verso se stesso.