PSICOLOGIA

a cura di Silvia Taddei, psicologa AOU Meyer

Il Disturbo oppositivo provocatorio (DOP), è un disturbo del comportamento che si manifesta in bambini di età scolare o prescolare ed è caratterizzato da umore collerico e irritabile e da comportamenti vendicativi e oppositivi, che si verificano per un periodo di almeno sei mesi. Il bambino con DOP infatti litiga spesso con adulti e coetanei, si rifiuta di rispettare le richieste e le regole, ride se sgridato, provoca deliberatamente gli altri e li accusa dei propri errori. La diagnosi viene effettuata se questo pattern è tale da determinare un disagio nel bambino e/o nel contesto sociale in cui vive (famiglia, scuola) oppure ha un impatto negativo sul normale funzionamento sociale o scolastico. A seconda della gravità questo disturbo può colpire uno solo o tutti gli ambiti indicati. Studi recenti attribuiscono al Disturbo oppositivo provocatorio una prevalenza che si aggira intorno al 5% della popolazione. La percentuale, se paragonata ad altri disturbi, è quindi relativamente alta. Viene registrata anche una frequente comorbidità con il disturbo da deficit d’attenzione e iperattività e impulsività (ADHD), disturbo d’ansia e il disturbo depressivo.

Il tipo di trattamento differisce in base all’età del bambino: per i bambini in età prescolare, il trattamento si basa su una psico-educazione che coinvolge soltanto i genitori. Per quelli in età scolare, invece, viene integrato un lavoro individuale basato con colloqui psicologici con il bambino, supporto psicologico ai genitori e un intervento nell’ambiente scolastico. Un tipo di intervento efficace può essere il modello cognitivo-comportamentale che si concentra su analizzare i pensieri e le emozioni del bambino e nell’aiutare il bambino a gestire attraverso tecniche pratiche l’umore irritabile e la rabbia. Anche gli insegnati vanno aiutati perché non sempre sanno come gestire queste situazioni e vanno istruiti per far sì che sappiano mettere in atto la strategia migliore con il loro alunno, in un rapporto di fiducia e comprensione. Alcune volte laddove i sintomi nel bambino divengono invalidanti e viene utilizzata anche la farmacoterapia, con farmaci prescritti da un neuropsichiatra infantile

Cosa possono fare i genitori? Riconoscere le emozioni: quando il bambino si arrabbia è necessario che il genitore riconosca questa emozione e provi a spiegarla al proprio bambino; “la rabbia è una emozione che ti fa accendere come il fuoco, adesso sei arrabbiato, lo sto vedendo”

Gestione della rabbia: il genitore deve spiegare al bambino che è possibile e normale arrabbiarsi ma è necessario trovare delle strategie alternative per non far esplodere questa rabbia in comportamenti eccessivi: se la riconosciamo, dopo 90 secondi svanisce e possiamo fare azioni alternative per esempio: passeggiare, accarezzare un animale, un peluche, fare la doccia, leggere, disegnare, ascoltare la musica, stringere i pugni e rilasciarli lentamente, correre a destra a sinistra , in avanti e all’indietro e poi fermarsi.

Stabilire alcune regole chiare e semplici: i genitori devono stabilire congiuntamente delle regole familiari da rispettare ma devono essere semplici ad esempio “a tavola stiamo seduti” altrimenti il bambino si sentirà confuso.

Incentivare i gesti positivi: evitare di notare soltanto i comportamenti negativi e cercare di lodare i comportamenti positivi. Quando il bambino è riuscito a rispettare una regola è necessario comunicarglielo e lodare i comportamenti positivi, compreso lo sforzo che compie nel rispettare le regole. Non bisogna soffermarsi a parlare di punizioni, ma delle conseguenze di un determinato comportamento.

Stimolare l’esplorazione: è fondamentale stimolare la curiosità. È importante che i genitori condividano una parte del loro tempo con il proprio figlio. Insieme possono leggere, guardare programmi didattici e documentari, ascoltare musica, fare una passeggiata insieme; capire gusti e preferenze del figlio e stimolarlo nella conoscenza e nella verbalizzazione di questi.