PSICOLOGIA

a cura di Rosanna Martin, psicologa AOU Meyer

Quante volte abbiamo sentito dire o diciamo: “Il genitore è il mestiere più difficile che ci sia”.
Ed è proprio così.

Innanzitutto perché non è un “mestiere”, non basta avere conoscenza e pratica: nel fare il genitore si mettono il cuore e l’anima. Fare il genitore ci riporta al bambino che siamo stati, ai bisogni accolti e non accolti, alla paure che abbiamo avuto e a quelle che non abbiamo avuto. Certi vissuti crescendo non scompaiono, rimangono lì e chiedono risarcimento. Molte volte i comportamenti relazionali e i vissuti emotivi che li accompagnano, sono frutto di meccanismi di cui non siamo consapevoli ma non appartengono al qui e ora ma al nostro passato.

I figli muovono in modo straordinario la parte emotiva e a volte trascinano in mondi inesplorati dentro e fuori di noi, mostrandoci parti che non sospettavamo di avere. Quindi movimenti emotivi, sensibilità, amore folle, irrazionalità. Le neomamme senza saperlo, tornano piccole in un naturale processo regressivo che le aiuterà col tempo a capire meglio un piccolo e ad avere le cure più adeguate per lui.

Ma questo tornare piccole è accompagnato anche da tempeste emotive altamente destabilizzanti, che vanno dall’amore e dalla dedizione più assoluta a momenti di disperazione, di rabbia e di un gran senso di impotenza. Momenti naturali fatti di pensieri e non azioni, ma che minano nella donna il proprio ritratto a volte idealizzato, di mamma perfetta.

La neomamma affronta una prima fase nella relazione con il proprio bambino molto difficile. La madre non conosce ancora il proprio bambino e non conosce il sé materno, non sa come si fa, non capisce perché il neonato piange e non sa come farlo smettere, si preoccupa, e molto, perché non mangia abbastanza, perché non dorme abbastanza, teme che stia male e non sa cosa fare, questa mamma pensa subito di non essere all’altezza, si sente incapace di assumersi la responsabilità della cura del figlio.

La solitudine è spesso una complicazione, un aiuto amorevole, un ascolto silenzioso, uno stare accanto senza giudizio, senza scavalcare e senza dare consigli non richiesti, ma solo uno sguardo di comprensione e una frase di incoraggiamento: “Tu sei la mamma, ha bisogno di te, troverete il modo per capirvi”, è la “cura” migliore per la neomamma.

Bowlby, psicologo e psicoanalista britannico, ritiene fondamentale che chi riceve le cure deve a sua volta ricevere molta assistenza, il sostegno della coppia madre-bambino soprattutto nel primo anno di vita è fondamentale per il benessere psichico successivo.

Per fortuna ci sono i papà, che oggi sono spesso di grande aiuto rispetto al passato, ma purtroppo arrivano di sera, dopo il lavoro e sono stanchi anche loro. Molte volte aiutare una mamma a non aver paura di non saper fare la mamma, significa sostenerla nel proprio ruolo, non dicendole cosa fare, ma dicendole che troverà il modo di saperlo fare, un modo unico per lei e per il suo bambino, un modo che si conquista con il tempo e la fiducia… in lei.

“E ricordatevi che dietro ogni mamma che ce la fa… c’è un cesto di biancheria sporca da mettere in lavatrice”.