PSICOLOGIA

a cura di Rosanna Martin, psicologa e psicoterapeuta AOU Meyer

Nella prima infanzia le problematiche inerenti l’alimentazione sono assai comuni. Già Anna Freud nel 1946 sottolineava: “Il bambino assieme alla madre deve percorrere un lungo cammino prima di riuscire a regolare la propria alimentazione, dalla fase dell’allattamento a quella dello svezzamento, egli deve passare dal nutrirsi succhiando al nutrirsi masticando per poi giungere al nutrirsi da sé fino a partecipare alla mensa dei familiari”.

Questo lungo cammino è tortuoso e dal semplice “Non mi piace!” di alcuni cibi si può arrivare ad un vero e proprio disturbo inserito anche nel DSM 5 (Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali), indicato come disturbo evitante restrittivo dell’assunzione di cibo nella classificazione dedicata all’infanzia.
Si manifesta attraverso la persistente incapacità di soddisfare le appropriate necessità nutrizionali o energetiche alimentandosi con un numero limitato di cibi preferiti quali: pasta, dolci e patatine. Chiaramente la forte selettività può comportare rischi per la salute, si favoriscono infatti alimenti molto calorici, ricchi di carboidrati come pasta, patate e pizza a scapito di alimenti ricchi di fibre, vitamine, sali minerali contenuti nella frutta e nella verdura. Un minimo di selettività è normale e il “Non mi piace” può nascondere temi oppositivi (il no del bambino) e la neofobia: la paura e l’evitamento di cibi nuovi e non conosciuti.
I genitori solitamente si trovano in difficoltà e fanno ciò che possono guidati dai passati insegnamenti della famiglia di origine e caratteristiche di personalità.

A volte gli sforzi dei genitori non riescono ad alleggerire la difficoltà che da momentanea e di passaggio può trasformarsi in un disturbo strutturato. All’interno di tali problematiche, accade che il genitore nel percorso di evoluzione alimentare, non riesca a tollerare alcuni momenti di inappetenza o transitorie fasi di selettività. Nell’esigenza di farlo mangiare, il genitore concede al bambino solo quello che desidera, rassicurandosi, minimizzando il problema ed evitando di prendere una posizione.
Purtroppo questo comportamento rischia di strutturare e aggravare la selettività. Il tema della preoccupazione del bambino che non mangia sufficientemente e adeguatamente viene descritto come “panico da cibo” del genitore ed è sempre stata una costante nella preoccupazione dei genitori proprio ed incredibilmente nelle società agiate. L’ansia rende il genitore insistente che insieme alla preoccupazione resa evidente anche al bambino, mette in luce un punto debole. Più il genitore insiste e si dispiace più il bambino proteggerà il proprio rifiuto e presa di posizione su alcuni cibi.

Soprattutto nelle fasi dei 2-3 anni non è un caso che i cibi preferiti, si possano mangiare autonomamente tenendoli in mano e permettono al bambino di scorrazzare liberamente lontano dal tavolo da pranzo, mantenendo l’autonomia e il controllo su di sé, soddisfacendo la propria “fame selettiva”. Patatine, pane, biscotti, schiacciate, pizza fanno “scappare” dal momento del pasto. Il messaggio potrebbe risultare così: “Cari mamma e papà la vostra preoccupazione/ansia sul cibo mi disturba, lasciatemi respirare, mangio qualcosa di molto saporito che scelgo io e che posso tenere in mano mentre mi allontano dalla vostra ansia e insistenza. Scusate ma mi devo proteggere!”.
Cosa fare?
Gli psicoterapeuti infantili che si sono occupati dei disturbi dell’alimentazione convengono nel suggerire ai genitori di non manifestare né il dispiacere per il rifiuto del cibo né la soddisfazione per un pasto terminato. La quantità di cibo dovrebbe essere sempre al di sotto della richiesta per fare in modo che sia il bambino pian piano a chiederne ancora e a regolarsi in base ai propri segnali di fame sazietà, importante tenendo conto del bisogno di autonomia, cucinare cibi il più possibile sani e vari ma che il bambino possa mangiare da solo utilizzando le mani.

Fondamentale inoltre aiutare i genitori a prendere coscienza di eventuali dinamiche conflittuali ed emotive che permeano il momento del pasto (ad esempio tenere il controllo sulla quantità e qualità del cibo in modo eccessivamente rigido: “te lo dò io!” quando il bambino vorrebbe mangiare da solo). Più riusciamo ad essere consapevoli dei messaggi dei bambini più si potranno comprendere e incontrare. Purtroppo è ancora spesso utilizzata la forzatura soprattutto al momento delle prime pappe, errore assolutamente da evitare.
Solitamente tali selettività iniziano nella fase appena successiva a quella del divezzamento, fase che rappresenta nell’alimentazione del lattante un momento transitorio ma delicato in cui il bambino si abitua gradualmente a cibi nuovi diversi dal latte per sapore e consistenza e impara ad alimentarsi in modo diverso con il cucchiaio.
In sostanza con il divezzamento inizia un periodo che porterà il bambino a modificare radicalmente le sue abitudini alimentari e ad avvicinarsi lentamente alla dieta dell’adulto, fondamentale quindi instaurare fin da subito un clima piacevole per tutti, quando percepiamo rabbia, nervosismo e braccio di ferro, i genitori dovrebbero fermarsi un attimo a riflettere su quello che sta succedendo.
È fondamentale che sia questa la fase in cui il bambino acquisisca abitudini alimentari corrette a vantaggio della sua salute nell’immediato e nel futuro. Fondamentale affrontare questa delicata fase dello sviluppo con gradualità e grande elasticità nel rispetto delle caratteristiche personali del bambino e del suo ambiente di vita.