IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica ludo-biblio AOU Meyer

Che non vi colga la nostalgia della carabina col tappo, di quel rumore secco che sembrava lo schiocco di un bacio quando il turacciolo saltava via o men che mai dell’odore di zolfo di certi speciali gommini che si accompagnava al clic del grilletto … che non vi colga il nobile sentimento di Ulisse perché fucilini spade archi frecce cerbottane e fionde sono, per i ragazzini 7-14, oggetti di modernariato, fiacche memorie d’infanzia, privi di appeal.

Superato l’amletico dubbio “armi sì, armi no”, oggigiorno nelle case spopolano colorate armi-giocattolo che sparano proiettili di gommapiuma, i cosiddetti Nerf, pistole e fucili iperrealistici, giocattoli Hasbro di ultima generazione, con il caricatore automatico, un mirino laser e che lasciano una scia luminosa, preziosa nei combattimenti in notturna!

Questi inusuali lancia-dardi di gommapiuma – eletti nel 2009 Toys of the Year - collezionano migliaia di fan su Facebook, seimila e più video su YouTube, oltre a essere protagonisti di centinaia di Nerf-Day, giornate nelle quali squadre di nerfisti si fronteggiano per raggiungere ora la conquista della base avversaria ora l’eliminazione del leader dell’altra squadra.

Chiaramente di fronte a questi giochi, tanto insegnanti quanto educatori e genitori, tendono a storcere il naso, per timore che i loro figli possano diventare violenti e guerrafondai.

In realtà c’è da dire che da sempre i ragazzini quando si trovano insieme inscenano combattimenti e battaglie, “fanno la lotta” e il lato positivo è che tali giochi fortemente fisici, che implicano necessariamente un confronto e una emulazione di lotta, contemporaneamente impongono di rispettare in modo rigoroso i codici che li regolano.

Quando un ragazzino o, meno frequente, una ragazzina impugnano una arma-giocattolo, quando lanciano o accettano una sfida, sono pervasi da uno spirito eroico che ha lo scopo di stabilire chi vince e chi perde, chi è il più bravo, o il più cattivo o il più buono. E la cosa bella, rispetto alla realtà, è che qui i ruoli sono sempre intercambiabili e se ora vinci tu, dopo vinco io. È vero: sono dinamiche aggressive, ma lo scopo ultimo non è far male all’avversario, quanto testare la propria capacità di controllo e di autocontrollo, perché laddove l’irruenza e la prepotenza prendono il sopravvento, il gioco perde senso. Non a caso, se nella foga della lotta o nel bel mezzo di un combattimento, ci scappa un colpo più forte del dovuto, la reazione immediata di chi la subisce è: “No! Così non vale!” In questo è insito il senso di misura, quel senso etico e morale, che il gioco mette a disposizione per imparare a distingue un comportamento corretto da uno scorretto. Così giocando a battaglie e lotte, con relative scorribande, si dovrebbe imparare anche a governare, a modulare, gli impulsi.

Detto questo, da qui a avere figli che “a tempo pieno” hanno come unica esperienza di gioco guerre e battaglie diurne o notturne e che trasformano la loro stanza in una sala-armi-nerf , ce ne corre!

Allora, è opportuno dotare i nostri agguerriti guerrieri di altri strumenti e proporre, di volta in volta, giocose variazioni sul tema. Incamminandosi verso la bella stagione, fra spiagge e giardini, si potrebbe pensare a una bella sparatoria con le pistole a acqua. Sparare a casaccio, felici più dello schizzo che di centrare l’obiettivo... spararsi in bocca... solleticare la gola con lo spruzzo e via: sollazzarsi con la improvvisata fontanella!