PSICOLOGIA

a cura di Rosanna Martin, psicologa AOU Meyer

Il mutismo selettivo è un disturbo relativamente raro, si stima sia presente dallo 0.03 all’1% della popolazione generale (Diagnostic and Statistical Manual -5). Riguarda soprattutto la popolazione infantile e si manifesta nell’ impossibilità di un eloquio spontaneo o di rispondere a domande poste loro sia da adulti che da coetanei. Il disturbo varia da situazione a situazione, a volte i bambini non riescono ad interagire verbalmente neanche con la famiglia allargata, mentre parlano tranquillamente con genitori e fratelli o comunque con le persone con le quali hanno instaurato relazioni famigliari più strette. L’incapacità di parlare non è giustificata da un disturbo specifico del linguaggio o della comunicazione. Il disturbo è spesso accompagnato da un’elevata ansia sociale e i bambini con mutismo selettivo rifiutano spesso di parlare nel contesto scolastico portando ad una compromissione educativa e scolastica, dato che gli insegnanti hanno spesso una difficoltà a valutare le abilità del bambino riguardanti la lettura o altre competenze che possano richiedere l’espressione verbale. Nonostante il desiderio di partecipare ai contesti ludici e di divertimento questi bambini trovano difficoltà ad interagire con i coetanei quando è necessario il coinvolgimento verbale anche fra i pari. La percezione che si ha quando si entra in contatto con questi bambini è davvero unica, si sente il desiderio relazionale ma sono bloccati dall’interno, come se un lucchetto si attivasse varcando la porta di casa. L’esordio del mutismo selettivo può avvenire prima dei cinque anni di età, ma giunge all’attenzione clinica solo con l’ingresso alla scuola primaria dove si ha un aumento delle richieste di prestazioni e di relazioni sociali. Dunque il mutismo selettivo riguarda il linguaggio e la relazione di fiducia fra sé e l’altro. Le parole, il linguaggio e il suo valore comunicativo hanno un alto valore simbolico, ma quale? Pensiamo al momento in cui il linguaggio si struttura, le prime parole “mamma, papà, il proprio nome o quello degli altri familiari…” hanno tutte a che fare con un’identificazione dell’altro e di sé. La strutturazione della frase successivamente, determina un aumento della consapevolezza di sé con la verbalizzazione di richieste o risposte che esprimono scelte. Il bambino desidera far conoscere la propria volontà o pensiero e per poterlo fare deve utilizzare il linguaggio che possa permettere “all’ altro da sé” di comprenderlo. Alcuni ritardi nell’esordio del linguaggio o nella sua evoluzione a volte presuppongono un desiderio non consapevole di rimanere all’interno della fusione simbiotica materna, fusione in cui non è necessario il linguaggio per capirsi: “la mamma sa e solo la mamma capisce”. Riflettendo, nel caso del mutismo selettivo, la “bolla” simbiotica inizialmente duale, potrebbe essersi ampliata ed essere diventata una stanzetta e poi crescendo ancora una casetta, “la mamma lo sa, la mamma mi capisce” diventa “la mia famiglia lo sa, la mia famiglia mi capisce”. Il mondo esterno purtroppo fuori dalla fidata e conosciuta casetta, non sa e non capisce e non ci si può fidare. Purtroppo gli adulti non conosciuti, le maestre, i compagni e coetanei, possono essere individuati dal bambino con mutismo selettivo, come “potenzialmente pericolosi”. Quale pericolo? Forse anche solo non essere compresi, forse sentire che lì fuori…il mondo li vuole diversi da come sono in questa fase e questo li fa sentire ancora più a disagio, in una sorta di circolo vizioso che porta alla stasi. Sicuramente con la crescita la situazione migliora, le maglie dell’attaccamento alla “casetta” si allargano, la fiducia in sé e nelle proprie capacità aumentano e così quella per il mondo circostante. Pian piano accade che il bambino con mutismo selettivo inizia a parlare con i compagni, poi con qualche maestra. Ma se nessuna evoluzione o piccolo passo in avanti dovesse avvenire, credo sia importante rivolgersi ad uno psicoterapeuta infantile che possa aiutare la famiglia ad affrontare la difficile impresa della crescita, così come dice Donald W. Winnicott (Bambini, 1996): “Lo sviluppo emotivo di un bambino è una cosa estremamente potente, che coinvolge forze potenti…”.