PSICOLOGIA

a cura di Rosanna Martin, psicologa AOU Meyer

C’era una volta a scuola il “banco degli asini”. Nei ricordi di uno scolaretto degli anni 1947-1952, c’era un vecchio banco di legno a due posti, con il sedile fisso e dipinto di grigio come gli altri, ma isolato in fondo all’aula. In quel banco della vergogna la signora maestra usava deportare temporaneamente, all’occorrenza, chi da una prova di verifica risultasse “il più somaro della classe”: di solito, un piccolo monello che “non aveva voglia di studiare”, che si ostinava a non imparare le tabelline, a non azzeccare i congiuntivi, a scrivere “squola” con la q, a “dimenticare” i quaderni a casa, e per giunta a disturbare le lezioni.

A quei tempi, il titolo di asino, ciuccio, somaro o somarello spettava di diritto agli alunni giudicati ignoranti perché non studiavano. Lo scolaro veniva costretto a fare il giro delle classi maschili con un cappello di carta dalle orecchie di asino, secondo la pedagogia di Pinocchio. Un castigo “educativo” estremo. Oggi i tempi sono molto cambiati. Vediamo, infatti, che alcuni di quegli ex “somari” sono diventati scienziati, magistrati, professori universitari, giornalisti, conduttori televisivi, leader di partito, deputati e persino ministri. Come diceva Kierkegaard il filosofo danese, “se mi etichetti mi annulli”, ogni volta che etichettiamo qualcuno, neghiamo la ricchezza e complessità dell’individuo. L’etichetta va bene per i documenti, fogli di carta da ordinare a cui viene appiccicata una dicitura per poterli riordinare e trovarli facilmente, non appartiene alla complessità della persona, ancor più se avviene nei bambini in fase evolutiva.

L’individuazione è un percorso faticoso, un percorso di formazione dell’identità e del riconoscimento di sé e del bisogno di essere riconosciuti dall’altro, tipico dei bambini e degli adolescenti, perché no anche degli adulti. L’individuazione coinvolge le complessità e le caratteristiche uniche e fluide della persona, l’etichettare fa riferimento a una fissità che si incolla. Etichettare con superficialità e precocità, annulla la persona. Figuriamoci poi se tale esercizio, viene svolto a scapito di un bambino, universo in crescita e all’inizio del proprio percorso di scoperta.

Purtroppo, più o meno consapevolmente, accade ancora in vari ambiti: da quello famigliare a quello scolare, passando per il gruppo dei pari. Le etichette riguardano le prestazioni (scolastico, sportivo, ecc.), tratti del carattere, aspetto fisico. In tutti i casi la definizione precoce non apre ma chiude, può portare nell’età evolutiva a credere che l’adulto abbia colto aspetti del bambino/ragazzo a lui ancora sconosciuti e vi si adegua, ci crede e si siede in quella definizione come in quel “banco degli asini”. Pertanto ancor più in sede educativa le etichette non si devono usare, fondamentale e necessario l’ascolto, l’osservazione e ancor più, saper aspettare con fiducia nell’altro.