IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica ludo-biblio AOU Meyer

Mai come in questo momento – complice forse il fermento di ricerca scientifica che si agita attorno alla pandemia da Covid19 – si sbandierano avvincenti proposte di giochi e giocattoli definiti “scientifici”.

Senza considerare che il boom dei giocattoli e dei giochi scientifici in cofanetto si avvia da lontano, addirittura dall’inizio secolo scorso, con le prime scatole di fisica e di chimica, con il Meccano, Il piccolo aviatore, o ancora con scale di pompieri da costruire, o con giocattoli specializzati per “studiare la potenza delle scintille elettriche”.

L’idea di fondo, condivisa da molti, è che ai bambini si possa insegnare la scienza - virus, microbi, mascherine incluse - rendendola divertente e quindi giocando. E il messaggio lanciato all’infanzia è quello di prendere confidenza con una scienza che allevia le fatiche, che meraviglia, che indica progresso e benessere, che risponde ai perché.

Non dello stesso avviso e assai critici nei confronti del proliferare di oggetti scientifici nel mercato ludico rivolto ai bambini sono alcuni pedagogisti del Cemea (Centri di esercitazione ai metodi dell’educazione attiva) che sottolineano a più riprese come l’aspetto scientifico di un giocattolo stia soprattutto nel modo in cui lo si usa piuttosto che nell’oggetto in sé. Quindi, il così detto “giocattolo scientifico” è dovunque: dovunque si usi un oggetto e si ragioni su come funziona, su quali azioni consente, su quali effetti produce.

Ben sappiamo peraltro come il gioco scientifico con oggetti (che diventano giocattoli) sia un fatto naturale, comune, primitivo.

Lo ha sostenuto Elinor Goldshmied quando ha posto le fondamenta del gioco euristico per gli under 3.

E lo sostiene a spada tratta Michel Manson – ormai da anni alla direzione scientifica del bellissimo museo del giocattolo di Poissy - laddove afferma che “... i bambini, dall’alba dei tempi, giocavano soprattutto con le risorse che offriva loro la natura – la sabbia, l’acqua, i sassi, le piume di uccello – e con tutti i tipi di oggetti che essi trasformavano con la semplice magia del gioco. Attraverso il filo dei secoli – ha proseguito lo studioso - questi “giocattoli ecologici”, spontanei, hanno ispirato prima gli artigiani poi i vari brand che hanno reso commerciali quelle loro meraviglie ́... meraviglie dalle quali i genitori si lasciano troppo spesso sedurre”!

Possiamo allora pensare che un paio di forbici, un pennarello, una bicicletta, un macinapepe ... siano “giocattoli scientifici”? Lo sono senza ombra di dubbio quando stimolano l’immaginazione e l’invenzione e quando vengono usati con la magia del gioco non disgiunta dall’atteggiamento scientifico, esplorativo, dei come e dei perché.

Insomma: scienza in gioco, la scienza sta negli oggetti che ci circondano. Non occorrono, allora, giocattoli costosi dai nomi altisonanti e dai marchingegni spaziali: basta poco. È sufficiente un banale passaverdure da esplorare - smontare, rimontare, azionare - in una affettuosa atmosfera casalinga per attivare quei processi cognitivi che connotano il pensiero scientifico. Perché fra qualsiasi bambino e la scienza c’è l’attenzione che l’adulto ha per lui.