IL GIOCO È UNA COSA SERIA

di Manuela Trinci, psicoterapeuta infantile, direzione scientifica Ludo-biblio AOU Meyer

Oltre e al di là del filo da pesca, della carta velina, delle bacchette di vecchie veneziane cadute in disuso, di nonnulla di stoffa o di carta per ultimare code variopinte – i veri necessari ingredienti per la costruzione di un aquilone sono la pazienza e una solida idoneità allo smacco!

Testimonial ne è lo sfortunato Charlie Brown impegnato nei più diversi modi a fare volare il proprio aquilone ma, vuoi per la voracità del Kite-EatingTree alias Albero Cannibale vuoi per la persecuzione continua della malasorte, l’impresa non decolla!
Popolare e ecologico, intergenerazionale e internazionale, l’aquilone è un gioco antico, millenario, emozionante, che non perde attrattiva. Un figlio del vento (aquilone è nome del vento di tramontana) detto drago nel Nord Europa, cervo volante in Francia falco, kite, negli USA, uccello del vento in Cina, cometa in Spagna e così via…

Ha una storia antica l’aquilone. Nato in Cina come espressione di una spiritualità che connetteva la terra al cielo e propiziava Dei e buona sorte, questa pascoliana “cometa per il ciel turchino” si diffuse rapidamente in tutto l’Estremo Oriente divenendo protagonista di curiosi duelli guerreggiati per recidere il filo degli avversari. Marco Polo ne parlava nel Milione e si racconta che i fratelli Wright li abbiano usati per studiare la portanza delle ali del loro primo aereo. Non sorprende quindi che - sospeso fra scienza e magia – l’aquilone continui ad ammaliare genitori nonni e bambini…

E veniamo a noi!
Per un aquilone tradizionale ci servono: carta velina colorata o seta, filo di nylon e spago, due stecchi di legno o di bambù non troppo spessi, una matita e gli immancabili squadra e righello. Dopo di che si inizia piegando il foglio di carta velina a metà. Sopra vi si disegna un triangolo rettangolo avendo cura di far coincidere la piegatura della carta velina con la linea retta. Si procede ritagliando i lati esterni del triangolo così da dare luogo, aprendo il foglio, alla figura di un rombo.
In modo perpendicolare, sul retro del foglio, si devono adesso incollare i due stecchini di legno, non senza annodarli fra loro, nel punto di incontro, con un filo di nylon.

E per una coda svolazzante? Minuscoli ritagli di carta leggera, incollati fra loro qualche tappo di sughero e poi, via: attaccare bene la coda – serve anche per stabilizzare il volo - legare il filo al telaio e posizionarsi di spalle alla reale direzione del vento. A questo punto non resta che lanciare con determinazione verso il cielo la losanga colorata e aprirsi alla speranza.
Ma forse per ogni bambino nell’aquilone c’è molto di più. In quella speranza di volo c’è l’avventura. Ci sono le geografie personali, le mappe, le terre dei sogni, i tappeti volanti, c’è un provare a misurare il mondo senza reali distanze, senza città, confini e reti commerciali. Senza lingue e senza letterature.

Nel solcare il cielo si incontrano luoghi lontanissimo da casa, luoghi fatti di sogni e di possibilità. Ci sono venti elastici o tempestosi che sanno di sabbia o di bosco, c’è l’ebbrezza di immaginare di volare come uccelli e di vedere il mondo dall’alto.

E sono proprio questi capovolgimenti, l’impatto con il non conosciuto che alimenta e nutre la nostra immaginazione. Scriveva, non a caso, Corto Maltese “che ne sarebbe della storia, che ne sarebbe del nostro sapere, senza la speranza di una terra ignota?”