BUONO A SAPERSI

a cura di Simone Pancani, Enrico Pinzauti, Flavio Facchini, SOSA Centro Ustioni, AOU Meyer

Le ustioni sono un evento molto frequente in età pediatrica, anche se fortunatamente i casi di gravità maggiore rappresentano un numero abbastanza esiguo: la casistica del Centro Ustioni del Meyer, l’unico esclusivamente pediatrico esistente in Italia, ne raccoglie circa 2 – 3 casi all’anno insieme a un’ottantina di bambini che richiedono il ricovero in ospedale e la terapia chirurgica delle lesioni e a circa 300 pazienti che possono essere invece seguiti a livello ambulatoriale.

I bambini si ustionano soprattutto con il liquido bollente e con il contatto con le superfici roventi (ferro da stiro, vetro del forno, stufe ecc.) e la frequenza di questi eventi presenta caratteristicamente due picchi di frequenza. Il primo si colloca intorno all’anno di vita quando i bambini iniziano a camminare autonomamente ed il secondo intorno all’età di tre anni quando, ormai diventati “piccoli esploratori” partono alla scoperta del mondo che li circonda.
In linea di massima questo mondo è compreso tra le pareti di casa (luogo dove avviene il numero massimo di infortuni, a torto quindi ritenuto nell’immaginario di tutti santuario di sicurezza lontano da pericoli e rischi) con la cucina a fare la parte del leone seguita dal bagno e, via via a seguire, da tutte le altre stanza e dal giardino.

In caso di ustioni di non eccesiva gravità, quando cioè non sia necessario ricorrere al pronto soccorso, alcune azioni devono essere messe in pratica per garantire al piccolo infortunato il massimo della migliore assistenza possibile.

In primo luogo, nonostante sia oggettivamente difficile di fronte ad un bambino che piange disperato, ci dobbiamo sforzare di mantenere la calma, tranquillizzandolo e evitando di trasmettergli l’ansia che quasi certamente starà attanagliando l’adulto presente alla scena.
Se possibile farlo in sicurezza dovranno essere immediatamente rimossi i vestiti per evitare l’effetto “impacco di calore” e l’area ustionata va quanto prima raffreddata per evitare che il calore dagli strati superficiali della pelle vada in profondità aggravando la situazione.

Se la rimozione degli indumenti riuscisse difficoltosa oppure in presenza di sostanze particolari tipo colla fusa o zucchero caramellato, si può raffreddare al di sopra senza rimuovere niente.
Può essere utile ricordare a questo punto la cosiddetta “regola del 15”: la zona colpita dall’ustione, come sopra ricordato, va raffreddata il prima possibile (sperabilmente entro 15 secondi dall’evento) con acqua a 15° di temperatura (quella che normalmente più o meno esce dai rubinetti) e per un tempo non inferiore a 15 minuti (cosa spesso non facilissima visto che questa manovra può aumentare il dolore al piccolo paziente). Ricordiamoci che il raffreddamento, soprattutto nei bambini più piccoli, non può essere prolungato all’infinito a causa del rischio, potenzialmente assai grave, dell’abbassamento eccessivo della temperatura corporea (ipotermia).

Un’altra cosa da tenere a mente è che il ghiaccio, in teoria in grado di procurare un raffreddamento per lo più efficace, non deve assolutamente essere applicato direttamente sull’area colpita (per non aggravare ulteriormente il danno con una vera e propria “ustione da freddo”) e rimosso ad intervalli per evitare il già citato rischio di ipotermia. È assolutamente sconsigliato il ricorso a sostanze che, seppure largamente impiegate in passato, ancora oggi si vedono nei bambini ustionati condotti al Pronto Soccorso: dentifricio, olio, pezzi di carne congelata, creme le più disparate, fette di patate, yogurt, mercurocromo (si immagini il dolore!) fino ad arrivare, in casi rari però realmente incontrati nella nostra pratica, a cenere e fondi di caffè! Ben i capisce come tutto questo improbabile armamentario terapeutico, oltre a non raffreddare, possa causare infezioni locali che certamente non aiutano la situazione.

Una questione che ancora oggi suscita moltissimo interesse (e anche numerose perplessità sul modo di agire) è che cosa si debba fare quando l’ustione ha provocato la comparsa sulla pelle delle cosiddette “bolle” o “vesciche” (conosciute con il termine tecnico di “flittene), caratteristiche lesioni che talvolta possono assumere dimensioni anche importanti, causate da una sorta di slaminamento degli strati sovrammessi che compongono la pelle tra i quali si accumula del liquido.
La flittena nelle prime fasi successive all’ustione rappresenta un meccanismo di difesa della zona colpita e fintanto che rimane chiusa la protegge adeguatamente dagli agenti infettanti. Per questo non è necessario aprirle (o peggio, rimuoverle) subito dopo l’infortunio, a meno che non siano sotto eccessiva tensione o di dimensioni tali da creare un importante dolore locale.

La loro apertura può essere rimandata di un certo numero di ore (12 – 24) coprendo nel frattempo la zonainteressata con garze e bende pulite imbevute con una soluzione di ipoclorito di sodio allo 0.05 per mille. Al momento della valutazione successiva la flittena può essere bucata con un ago sterile oppure aperta con una forbice sterile per fare fuoriuscire il liquido in essa contenuto. In caso di lesioni più superficiali, una volta svuotata, può essere lasciata al suo posto per funzionare come medicazione “biologica” in attesa che l’organismo produca nuovamente il tessuto andato distrutto: raggiunta la guarigione la flittena ormai secca, può essere facilmente rimossa oppure lasciata staccare spontaneamente.
Ovviamente appare del tutto inutile applicare qualsivoglia medicazione o sostanza sulla flittena chiusa, visto che così facendo non faremo altro che medicare del tessuto “morto” che sta proteggendo quello vitale sottostante.

Un altro suggerimento. Qualora si decida di rivolgersi al proprio Pediatra curante oppure al Pronto Soccorso, ricordiamoci di non applicare sulle zone ustionate disinfettanti colorati o creme per evitare che il personale sanitario, trovandosi di fronte una lesione così trattata, non riesca a valutare lo stato del fondo della lesione, criterio molto importante per assegnarle un livello di gravità adeguato (ustioni di I, II o III grado).