PER I NOSTRI FIGLI

di Angela Pittari, pediatra di famiglia

L’infezione da citomegalovirus (Cmv) colpisce moltissime persone in tutto il mondo: nei paesi occidentali il 60-90% della popolazione ha contratto l’infezione almeno una volta nella vita (in genere in età scolare) e nei paesi in via di sviluppo la percentuale sale addirittura oltre il 90%.

Il citomegalovirus è un virus ubiquitario che appartiene alla famiglia degli herpes virus, come quello della varicella, del cosiddetto fuoco di Sant’Antonio, della mononucleosi, e dell’herpes labiale. Una volta contratto, rimane latente (si “nasconde” nelle cellule del midollo osseo del soggetto infettato per tutta la vita) ma può riattivarsi in caso di indebolimento del sistema immunitario (come durante uno stress intenso), dando luogo così a un’infezione di tipo secondario che in un soggetto sano è clinicamente irrilevante, mentre nei soggetti con un’immunodepressione è un evento temuto e pericoloso. L’escrezione del virus, dopo una prima infezione, continua per tanto tempo (mesi o addirittura anni), per cui esiste sempre nella popolazione una grande riserva di virus.

Nella maggioranza dei casi, nelle persone sane o nei bambini, l’infezione è asintomatica, perché il sistema immunitario è in grado di tenerla sotto controllo. Tuttavia è possibile che alcuni soggetti possano presentare sintomi lievi, aspecifici, molto simili a quelli influenzali: febbre, malessere generale, sudorazione notturna, disappetenza, dolori muscolari e/o articolari e ingrossamento dei linfonodi. Una sintomatologia che in genere si risolve nel giro di pochi giorni senza conseguenze a distanza e perciò può passare senza essere diagnosticata.

Cosa ben diversa è per i soggetti che hanno una compromissione del sistema immunitario (ad esempio perché sottoposti a chemioterapia, o perché affetti da deficit immunologici severi o che hanno ricevuto un trapianto di organo) e per i bambini sotto i 2 anni: questi soggetti possono riportare danni gravi e permanenti a carico di occhi, polmoni, fegato, esofago, stomaco, intestino e sistema nervoso centrale.

Ma l’aspetto più importante legato al citomegalovirus è rappresentato dall’infezione congenita, contratta poco prima del concepimento e per tutta la durata della gravidanza (sebbene i danni maggiori sono conseguenti a un’infezione del primo trimestre) e trasmessa al feto attraverso la placenta, con manifestazioni cliniche neurologiche, neurosensoriali e interessamento di diversi organi (microcefalia, calcificazioni cerebrali, anomalie dello sviluppo psicomotorio, perdita delle capacità coordinative e debolezza muscolare, sordità, deficit intellettivo, deficit visivo permanente, epilessia, epatosplenomegalia, polmonite, difetti dello smalto dentale).

Il neonato con infezione congenita è di solito sintomatico alla nascita con un corredo di manifestazioni cliniche molto variabile strettamente dipendente dall’epoca dell’infezione. Alcuni neonati, pur essendo infetti, possono essere asintomatici alla nascita, ma a distanza di qualche anno presentare i segni di compromissione dell’udito, della vista e ritardo dello sviluppo neuromotorio. Da ciò deriva la necessità di eseguire per diverso tempo follow up uditivi, visivi ed ematologici per intercettare eventuali manifestazioni tardive.

Come si trasmette l’infezione?
La trasmissione avviene da persona a persona attraverso i fluidi corporei ed è proprio per questo che si trasmette facilmente in ambito familiare e nelle scuole di ogni ordine e grado. Il contagio può avvenire per contatto diretto tramite l’inazione o l’ingestione di goccioline di saliva o di muco. Non è esclusa la trasmissione per via sessuale, è invece documentata quella attraverso una trasfusione di sangue e durante la gravidanza e l’allattamento.

La diagnosi.
Attraverso la sola visita medica non è possibile fare una diagnosi certa: è necessario eseguire un esame del sangue per dosare gli anticorpi. Per una donna è fondamentale conoscere il suo stato immunitario nei confronti di questa infezione. Si configurano tre diverse situazioni immunologiche:

  • se precedentemente sieronegativa (caso raro vista la diffusione del virus nella popolazione adulta) può presentare le IgM in caso di infezione recente
  • se è in corso una riattivazione secondaria si avrà un aumento significativo delle IgG con o senza IgM
  • nel caso che il test risulti negativo la donna è esposta al rischio di infezione e quindi è di fondamentale importanza ripetere il test periodicamente durante la gravidanza e prestare particolare attenzione alle misure utili a evitare il contagio nei mesi successivi.

Nel caso che si sospetti una infezione congenita è possibile verificare se c’è stata la trasmissione al feto mediante esami più invasivi come l’amniocentesi, da effettuare almeno 7 settimane dopo la data della presunta infezione materna, con la ricerca del dna virale nel liquido amniotico.

Dopo la nascita (entro le prime 2-3 settimane di vita) la diagnosi di infezione congenita può essere determinata identificando il dna virale nelle urine, nella saliva o in altri liquidi corporei del neonato e la valutazione del carico virale può essere utilizzata per la prognosi e il monitoraggio in caso di eventuale terapia.

La terapia.
Purtroppo, ad oggi, non sono disponibili trattamenti prenatali efficaci e sicuri per prevenire la trasmissione del virus dalla madre al feto. Le infezioni congenite conclamate vengono trattate con farmaci antivirali che, solo se somministrati precocemente e sotto controllo specialistico, possono ridurre i danni provocati dal virus, in particolare il deterioramento della funzione uditiva e psicomotoria.

Parola d’ordine: prevenzione.
L’elevata circolazione virale, presente nelle comunità di bambini in età prescolare e negli ospedali, solleva la questione del rischio per donne in gravidanza. Le donne sieropositive (IgG) vanno rassicurate, mentre alle sieronegative è necessario ribadire l’importanza di osservare scrupolosamente le norme igieniche elementari vista l’ubiquarietà del virus (lavarsi bene le mani, evitare di condividere stoviglie e oggetti) e la necessità di evitare contatti con fluidi corporei in genere.

Attualmente i tentativi di individuare i soggetti che eliminano il citomegalovirus non hanno dato risultati soddisfacenti e purtroppo ad oggi non esiste un vaccino in grado di proteggere dall’infezione.