PSICOLOGIA

a cura di Rosanna Martin, psicologa AOU Meyer

Tutti i genitori sanno quanto sia impegnativo confrontarsi con le emozioni dei propri figli, ma rabbia, paura e tristezza non devono spaventare: è importante accoglierle e dare loro un nome. Anche perché crescendo, i piccoli diventano sempre più bravi a gestire quello che provano. A spiegarci come accogliere le emozioni dei nostri piccoli è Rosanna Martin, psicologa e psicoterapeuta del Meyer. Le emozioni nascono ancor prima della nascita biologica del bambino: ad accogliere ogni piccolo ci sono i vissuti e le aspettative dei genitori oltre che il loro immenso amore. Inutile negarlo, tutti abbiamo aspettative sui figli e non parlo di aspettative professionali, possono essere anche caratteriali o di ruolo all’interno della famiglia. Una fondamentale capacità genitoriale è la cosiddetta sintonizzazione affettiva: la capacità di cogliere il bisogno del bambino e affrontarlo. Le figure genitoriali contribuiscono a dare significato e colore alle reazioni dei figli con le loro risposte emotive. Le emozioni nascono dalla relazione: è in questo ambito con le risposte degli adulti di riferimento che il bambino costruisce il proprio mondo emotivo. La risposta dell’ambiente affettivo diventa uno specchio sul quale poi il bambino modula le proprie risposte. L’enciclopedia emotiva per i bambini siamo noi.

Con la crescita e l’ampliamento delle conoscenze e delle esperienze il codice emotivo si perfeziona. La scuola materna è una palestra importante, per tutte le emozioni: belle e brutte. Pensiamo alla tristezza del distacco. Quando il bambino mostra dispiacere per l’allontanamento di mamma e papà è fondamentale legittimare il suo vissuto. Dire: “Non piangere, la mamma torna subito”, è una bugia e non aiuta affatto il bambino. Meglio dire: “Hai ragione è un momento molto difficile, dobbiamo salutarci e siamo tristi, ma ora la mamma/babbo va a lavorare e tu vai a giocare con i tuoi amici e poi ci ritroviamo per raccontarci la giornata”. Naturalmente le parole devono corrispondere ad un tono emotivo adeguato, altrimenti sappiamo che prevale il linguaggio non verbale…

Le emozioni più impegnative sono la rabbia, la paura e la tristezza. È importante fare attenzione alle rabbie nei bambini e non liquidarle tutte come capricci. La rabbia è un tentativo per comunicare uno stato d’animo spesso di sofferenza, è quindi opportuno aiutare i piccoli a tradurla. Le emozioni non devono essere silenziate, ma accolte con benevolenza. Dire: “Non ti arrabbiare, non piangere”, non aiuta a crescere. Osservare, ascoltare, contenere (anche fisicamente con un abbraccio) tradurre in parole, permette al bambino di legittimare e le proprie manifestazioni e con il tempo potrà fare un passaggio evolutivo di autocontenimento che permetterà minori passaggi all’atto e maggiori verbalizzazioni.