PSICOLOGIA

a cura di Francesca Addarii, servizio di Psicologia ospedaliera AOU Meyer

“Il bianchetto è lanciato nella classe. È un vero disastro, la classe è tutta sporca. L’insegnante potrebbe accontentarsi di domandare chi l’ha lanciato, fermandosi allora alla sola traduzione del gesto in parole. […] In modo sorprendente, li spiazza: «Mi chiedo cosa vorreste cancellare…». È un modo di andare verso gli allievi che rilancia, […] li mette a lavoro: «Vogliamo cancellare quello che i prof scrivono su di noi»” (tratto da V. Baio, in “In classe come al fronte, un nuovo sentiero nell’impossibile dell’insegnare”).

Dentro le scuole di oggi, veri e propri contenitori di una serie di complessità individuali, familiari e sociali, quali carte può giocarsi un insegnante per essere un buon insegnante agli occhi di un adolescente?
Nei fatti, nessuna declinazione del “buon” insegnante sembra essere sufficiente: bontà, bravura, resistenza, severità, passione, esperienza, attenzione, nel loro insieme, non sempre bastano. D’altra parte, è impossibile anche pensare di poter individuare un modo universale di essere insegnante, sempre adatto alla particolarità e all’unicità di ogni soggetto adolescente.
Cosa mettere in campo dunque?

Quando si tratta di adolescenti e quindi di ragazzi alle prese con una fase di transizione che implica tutta una serie di novità e ridefinizioni di ordine fisico, emotivo, relazionale, sociale ecc., la partita tra insegnanti e studenti si gioca principalmente sul terreno delle relazioni. La relazione assume un posto centrale perché è all’interno di essa che ciascun adolescente può pescare qualcosa di essenziale per costruirsi: qualche tratto identitario, qualche desiderio, qualche ideale, qualche strategia, qualche passione e così via.
È l’altro con cui siamo in relazione, fatto di madri, padri, nonni, insegnanti, amici, allenatori e così via, a scrivere fin dalla nascita una sorta di menù (es. “lui è così, farà questo, è in questo modo o in quest’altro”) dal quale ciascun soggetto prende qualcosa e ricava un abbozzo di definizione di chi è e di chi prova ad essere.

Allora, cosa può avere da offrire nel suo menù questo adulto particolare che è l’insegnante e che non è un genitore né uno alla pari e che agisce dentro la cornice scolastica?
Innanzitutto può offrire un sapere sulla materia insegnata e attraverso di esso anche il proprio modo singolare di rapportarsi a questo sapere. Un modo e uno stile che sono frutto di una storia, di una scelta precisa, di un interesse, di un piacere di insegnare, di un desiderio.
Tutto questo sottende la didattica e la ravviva, arricchendo la relazione con il sapere di elementi che hanno a che fare con la particolarità di ciascun insegnante. Questa particolarità è ciò che ogni studente è invitato a individuare e a costruire nel suo rapporto con la conoscenza: non sarà trasmessa la matematica o la storia, forse, ma sarà comunque trasmesso un approccio personale e unico ad un sapere.

Un insegnante può offrire un certo modo di essere adulto: per esempio, dimostrando all’adolescente che anche un insegnante sbaglia o non sa o che non è detto che le cose si facciano così come dice lui perché è un adulto. Tradotto in termini psicoanalitici, ciò significa trasmettere al ragazzo che l’altro che ha di fronte è incompleto, non ha tutta la verità e che il menù che ha pronto per lui non è già tutto scritto, anzi: c’è sempre spazio per scrivere qualcos’altro.
Un insegnante può anche offrire un’accortezza: quella di non ridurre l’adolescente che ha di fronte a ciò che di lui si vede o di non credere fino in fondo a ciò che lo studente dice o dà a vedere. Al contrario, ciò che conta e su cui ciascun adulto ha il potere di agire è andare oltre l’immagine che l’adolescente dà di sé o quella che noi abbiamo di lui. Per esempio, ciò significa approcciare un comportamento inadeguato non solo con una punizione ma anche con un interrogativo: cosa vuole dire? Cosa sta domandando questo ragazzo attraverso questo messaggio formulato male? Spesso tali comportamenti assumono il valore di una risposta, cioè sono un effetto di qualcosa che probabilmente succede altrove.

Infine, un insegnante può offrire un ascolto a tutte quelle domande che gli adolescenti fanno e che toccano la vita di tutti i giorni e le sue trame. Ascoltare non implica per forza comprendere e rispondere ma spesso consente di dare un posto al ragazzo. È il caso di quello studente in difficoltà che chiedeva insistentemente di cambiare scuola e a cui l’insegnante semplicemente aveva risposto: “ok, pensiamoci”.
Da lì in poi il modo di stare in classe era radicalmente cambiato e la necessità di cambiare scuola scomparsa. Che cosa stava domandando realmente quel ragazzo all’adulto che aveva di fronte? E che cosa aveva ascoltato quell’insegnante? Il messaggio in sé o colui che lo formulava a prescindere da ciò che diceva?

Dunque, se un insegnante può offrire qualcosa potrebbe essere questa: trasformare un incontro tra un insegnante e uno studente qualsiasi in un buon incontro tra un adulto particolare e un soggetto nella sua unicità.