BUONO A SAPERSI

a cura del professor Giuseppe Indolfi, pediatra, AOU Meyer

La prima ecografia. La foto della torta con le prime candeline. Lo scatto del primo giorno di scuola. E l’immagine del saggio di ginnastica. Per molti genitori, è difficile resistere alla tentazione di condividere on-line le foto dei propri figli. Questo fenomeno, sempre più diffuso, prende il nome di “sharenting”, un neologismo, ideato negli Stati Uniti, che unisce le parole “share” (condividere) e “parenting” (genitorialità). Questa costante condivisione avviene, nella maggior parte dei casi, senza che i piccoli e le piccole protagoniste ne siano consapevoli: o perché sono troppo piccoli o perché non sono messi a corrente. Ma questa pratica, apparentemente del tutto innocua – e comunque in buona fede – può presentare dei rischi. L’ammonimento arriva dal professor Giuseppe Indolfi, pediatra del Meyer. “Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Pediatrics – spiega lo specialista - ogni anno i genitori condividono online una media di 300 foto riguardanti i propri figli e prima del quinto compleanno ne hanno già condivise quasi 1.000. Questo può creare dei danni, sia diretti che indiretti. I primi riguardano i rischi per la privacy e la sicurezza del minore, compreso il furto dell’identità digitale. I secondi invece dipendono dal fatto che quella che dovrebbe essere una storia protetta finisce per diventare pubblica. E i minori, una volta cresciuti, potrebbero avere difficoltà a riconoscersi nell’immagine creata per loro dai genitori”. Ma esiste un limite per capire quando la condivisione di una foto è innocua e quando no? “Difficile tracciare una linea – conclude l’esperto – è un dato di fatto però che al momento i limiti sono abbondantemente superati. Quindi meglio procedere con cautela”.

Ecco il link dell’articolo pubblicato sulla rivista Journal of Pediatrics, dell’European Pediatrics Association, di cui è primo autore il Prof. Pietro Ferrara, Responsabile del Gruppo di Studio per i diritti del bambino della SIP, Società Italiana di Pediatria
https://www.jpeds.com/article/S0022-3476(23)00018-5/fulltext