PSICOLOGIA

a cura della dottoressa Alessandra Guarino, servizio di Psicologia ospedaliera AOU Meyer IRCSS

La disabilità infantile è qualcosa che, con il progredire della scienza medica, è sempre più frequente. In particolare si delineano due fronti: la disabilità come vissuto del bambino che purtroppo si trova in una situazione di non completa autonomia e il vissuto dei coetanei che si confrontano con un compagno che ha uno o più aspetti di diversità e richiede accudimenti e cure specifiche anche nel contesto scolastico e di relazione.

L’aspetto soggettivo del piccolo è certamente il più doloroso e complesso e dipende anche dall’entità della disabilità che il bambino si trova a vivere. Dobbiamo comunque riflettere sulla risonanza emotiva che lo sguardo e l’accettazione/collaborazione degli altri può creare nel bambino portatore di una qualsiasi fragilità. Infatti la percezione di sé deriva non soltanto da ciò che il soggetto vede e sente riguardo a se stesso, ma molto anche dall’immagine che di lui rispecchia il mondo che lo circonda. È dall’accettazione dell’altro rispetto alla mia persona che si rinforza la consapevolezza di me stesso e delle mie possibilità (a volte anche inaspettate a noi stessi) di muovermi nel mondo pur con le mie difficoltà.

Fortunatamente viviamo in un’epoca storica in cui l’integrazione del “diverso” si fa sempre più spazio (al contrario del passato in cui prevaleva l’esclusione dell’inconsueto) e anche la scuola di ogni ordine e grado rinforza il tema, non solo dell’accettazione, ma la cultura del poter essere d’aiuto ai compagni che manifestano bisogni speciali.

Alla luce di tutto ciò appare fondamentale la relazione di accoglienza e accettazione da parte dell’ambiente sociale, in primis i compagni di scuola e di gioco. I bambini che hanno la “fortuna” di appartenere a una classe scolastica di cui fa parte un bambino con una qualche disabilità imparano (e le insegnanti sono fondamentali in questo processo) ad accogliere, sostenere, fornire aiuto e integrazione ai piccoli più bisognosi. Questa costellazione centrata sulla collaborazione e sulla disponibilità è ben più che un comportamento solo dimostrativo ma, in senso più profondo, attiva in ogni bambino lo sviluppo di un’affettività e di un’etica che prevede il “tener conto dell’altro”, del più fragile e della soddisfazione di dare aiuto e sostegno all’altro.
Allora il successo dell’altro (che sia nella deambulazione o nella comprensione di un teorema o di una regola grammaticale) diventa anche il proprio successo. L’altro fa parte di noi e i suoi aspetti “claudicanti” diventano anche per i bambini “normodotati” un coinvolgimento della propria creatività e possibilità di essere d’aiuto sviluppando un senso di sé non unicamente egocentrato sui propri successi, ma anche su quelli dell’amico in difficoltà.

Si apre un orizzonte in cui il seme della generosità e sostegno dell’altro può germogliare e crescere anche in età adulta andando a fare parte profondamente di un modo di vivere in cui non posso più fare a meno di vedere l’altro e, parallelamente, accettare ed accogliere anche la mie parti più fragili. Se questa cultura psicologica viene nutrita si attiverà anche la possibilità per ogni bambino (poi ragazzo) di poter chiedere aiuto all’altro al momento del bisogno.
Non siamo monadi isolate dagli altri, ma abbiamo l’opportunità di pensare alla vita in senso collettivo e, non ultimo, di vivere in una dimensione affettiva verso gli altri, ma anche verso noi stessi.

La disabilità è anche una metafora della fragilità che, come sappiamo, appartiene a tutti noi.
Accoglienza, sostegno, aiuto nelle difficoltà diventano un regime interiore che si radica nella personalità di ognuno e questo apre l’orizzonte verso un mondo migliore, più centrato sugli aspetti dell’empatia e dell’affettività e meno focalizzato sulla sola centralità egocentrata che non ha la possibilità di vedere e di accogliere le proprie e altrui debolezze.