A PROPOSITO DI FELICITÀ

a cura di Manila Bonciani, responsabile del Meyer Center for Health and Happiness

Si avvicina il periodo natalizio e ci troviamo tutti a pensare ai doni da fare a familiari e amici.

Ma ci è mai capitato di pensare a cosa significhi profondamente donare? Se allontaniamo la logica consumistica che rischia spesso di essere predominante, particolarmente in questo frangente, e che alla fine riduce il dono alla dimensione di merce con valore utilitaristico, possiamo riconoscere il valore fortemente sociale del dono.

Il dono rappresenta un elemento chiave nella costruzione delle relazioni umane: ciò che viene donato crea nuovi legami e rafforza quelli esistenti, perché rappresenta simbolicamente l’uscire dai confini del sé e relazionarsi al fuori, verso ciò che è altro da sé. Studi etnografici svolti in passato sul dono hanno messo in luce come il processo di dare e accettare un dono esprima fortemente il principio di reciprocità, che trova poi nel ricambiare il dono la conclusione dello scambio e il consolidamento del legame tra i soggetti coinvolti.
Se nelle comunità arcaiche il contraccambiare il dono, seppur con tempi e modalità non rigide, era tuttavia un obbligo morale su cui si fondava la comunità stessa, attualmente il dono viene fatto anche in maniera unidirezionale, e ricambiare il dono rimane una possibilità, una scelta libera della persona che l’ha ricevuto. Tale assenza di garanzie per il donatore di avere a sua volta un dono in cambio esprime ancor di più il valore sociale del donare, perché di fatto rappresenta la manifestazione di una grande fiducia negli altri. Questa forma di scambio, avulsa dalla logica di mercato che avviene invece sulla base dell’equivalenza e del rapporto costo-beneficio, si fonda sul valore della costruzione di relazioni, così come su quello del modellamento dell'identità di chi dona.

Se si pensa infatti alle forme di donazione che per sua caratteristica non presuppongono affatto il ricambiare il dono, come il mettere a disposizione il proprio tempo per gli altri attraverso il volontariato oppure la donazione del sangue che anche simbolicamente è il dono di una parte di sé a persone estranee, si comprende a pieno quanto l’atto del donare sia strettamente interconnesso anche con il proprio modo di pensare e sentire, di concepirsi come essere umano e di immaginare il mondo in cui si vuole vivere. La percezione di poter fare e cambiare qualcosa per le persone che hanno bisogno e quindi la volontà di rendersi utili sono forti stimoli per compiere il gesto di donarsi.

Queste esperienze di donazione si contraddistinguono per essere esempi concreti di comportamenti prosociali per i quali il sostegno e l’aiuto degli altri viene dato senza cercare nessuna forma di ricompensa e attraverso i quali si costruiscono relazioni di cooperazione e collaborazione all’insegna di un atteggiamento altruistico.

Ma cosa influenza significativamente la scelta di donarsi agli altri? Alcuni studi evidenziano che il contesto, con le sue norme, valori e idee morali, contribuisce a definire il nostro modo di concepire il dono e che essere altruisti è un comportamento appreso condizionato da aspettative e rinforzi sociali.
Altri studi mettono in luce anche come i comportamenti prosociali siano una fonte di grande gioia per le stesse persone che li mettono in atto e che quindi la ricerca - anche inconsapevole - del proprio benessere rappresenta una leva importare nello scegliere di donare sé stessi agli altri. Chi lo fa, infatti, risulta essere sinceramente felice nel percepire di avere stabilito una connessione, reale o ideale, con chi sta aiutando e nel pensare di star contribuendo a far la differenza nella sua vita.

Più che pensare, quindi che donare sia un obbligo morale che la società ci richiede, dovremmo coltivare la consapevolezza di quanto donare faccia star bene prima di tutto chi dona. Consapevolezza che potrebbe, nell’approcciarsi al Natale, spingerci a non focalizzarsi esclusivamente sugli oggetti da poter donare, ma a cercare la felicità del dono di sé agli altri.