A PROPOSITO DI FELICITÀ

a cura di Manila Bonciani, responsabile del Meyer Center for Health and Happiness

Quanto della nostra felicità passa dal saper comunicare efficacemente?
Sorprendentemente per qualcuno, moltissimo, perché in realtà la comunicazione si sostanzia delle relazioni con gli altri, che rappresentano il fattore che influenza maggiormente la felicità di ogni persona, grandi e piccoli, come molti studi hanno dimostrato. Quindi quanto più riusciamo a comunicare con consapevolezza ed intenzionalità, tanto più riusciamo a costruire un interscambio di significati condiviso, ad avere così relazioni interpersonali significative e di conseguenza a star bene. Cerchiamo allora di mettere in evidenza alcuni punti chiave della comunicazione.
Innanzitutto dobbiamo prendere atto che ogni nostro comportamento è un modo di comunicare e quindi di interagire con gli altri. Non possiamo non comunicare, come è stato chiaramente affermato dalla Scuola di Palo Alto grazie alle molteplici ricerche sulla comunicazione. Anche quando non diciamo o non facciamo niente, inevitabilmente trasmettiamo un messaggio, talvolta anche in maniera inconscia o involontaria. Questo perché la comunicazione è composta certamente da una parte verbale (quello che viene detto), ma anche da una parte non verbale - data dalla postura, dai gesti, dalle espressioni facciali - e da una paraverbale - che riguarda il modo in cui diciamo le cose, cioè il tono e il timbro della voce, ma anche il ritmo, la velocità e il volume con cui parliamo.
E la maggior parte del messaggio comunicativo è solitamente dedotto dal linguaggio del corpo ed a seguire dagli aspetti paraverbali, mentre le parole pronunciate spesso giocano un ruolo molto limitato nella comprensione e interpretazione del messaggio.

Partendo da questa constatazione, è facilmente intuibile come la maggior parte delle incomprensioni, dei malintesi, ma anche della conflittualità, sia legata proprio alla modalità di comunicare.
Talvolta, infatti, ci può essere incoerenza tra ciò che viene detto e come viene detto: un esempio potrebbe essere quando, durante una gita in famiglia, il figlio adolescente risponde alla domanda dei genitori su come stia dicendo loro “sono contento di essere qui”, ma con la faccia accigliata e le braccia incrociate, che i genitori interpretano invece come un segno di chiusura ed ostilità. Al di là di quello che vorrebbe essere il messaggio di chi lo invia, quindi, agisce sulla sua effettiva comprensione il meccanismo di decodifica da parte di chi lo riceve, che potrebbe non utilizzare le stesse chiavi di lettura della persona che ha trasmesso il messaggio e che lo può aver codificato in maniera più o meno consapevole.
Nell’esempio riportato, infatti, il figlio potrebbe anche aver assunto quella specifica postura senza pensarci, ma i genitori finiscono per attribuirvi un significato di rifiuto perché magari si sentono insicuri nel rapporto con il figlio che sta crescendo o temono i cambiamenti che questa fase della vita comporta. La relazione tra le persone che comunicano, quanto stanno provando in quel momento ed in termini generali il contesto in cui sta avvenendo la comunicazione condiziona il modo in cui viene vissuta ed interpretata dalle parti. L'aspetto relazionale è quindi il contesto che dà senso anche al contenuto della comunicazione stessa.

Sebbene tutto ciò che facciamo e diciamo sia un atto comunicativo e si susseguano ininterrottamente scambi tra le persone, non tutti attribuiamo a questa interazione la stessa punteggiatura, ma prendiamo in considerazione la sequenza di eventi in maniera personale ed in base a questa interpretiamo il significato della comunicazione.
Facendo riferimento sempre allo scambio genitore-figlio, il secondo potrebbe iniziare a considerare alcuni messaggi da un certo punto in poi nello scambio ininterrotto della sua relazione con il genitore ed ignorare quelli prima, a differenza di quanto fatto da questi: per esempio da una parte il genitore si lamenta con il figlio adolescente perché è sempre taciturno e di cattivo umore tanto da portarlo ad arrabbiarsi e alzare la voce, mentre dall’altra parte per il figlio la punteggiatura della loro comunicazione inizia dall’arrabbiatura del genitore a cui lui ha reagito mettendosi zitto ed imbronciato.

Un ulteriore elemento su cui porre attenzione è che la comunicazione si esprime come scambio simmetrico, cioè tra pari, oppure come scambio complementare quando uno dei due interlocutori assume una posizione superiore a quella dell’altro.
Se l'interazione simmetrica facilita la minimizzazione delle differenze, l'interazione complementare tende ad amplificarle. Nella relazione genitori-figli, la modalità di comunicazione complementare è certamente presente nei primi anni di vita e facilita il ruolo di guida dei genitori verso i figli, ma via via che questi crescono, e certamente dalla fase adolescenziale in poi, dovrebbe farsi sempre più sfumata per lasciare ai figli spazi di autonomia sempre crescenti. Ma talvolta i genitori possono rimaner legati ad uno stile comunicativo complementare che amplifica invece le incomprensioni.

Di fronte a questa grande complessità della comunicazione, di cui abbiamo sottolineato solo alcuni aspetti rilevanti, non dobbiamo tuttavia sentirsene sopraffatti: come abbiamo detto si tratta di fatto di un comportamento e può essere modificato, rafforzando la propria consapevolezza ed intenzionalità nel comunicare.
Per riuscire ad inviare messaggi chiari, esprimendo efficacemente i propri bisogni, pensieri ed emozioni, dovremmo esercitare la nostra capacità di essere assertivi, di riuscire a dire di sé senza avere un atteggiamento giudicante verso gli altri. Dovremmo quindi un po’ tutti allenarci per arrivare a padroneggiare una comunicazione efficace, quale passo per consolidare relazioni interpersonali di valore e per essere felici.